ORA DI PUNTA/ Ma a chi conviene affannarsi per far nascere il nuovo governo?

di STEFANO CLERICI – Passata la sbornia della vittoria o lo stordimento per le bastonate,  tutti i partiti che compongono il neonato Parlamento si trovano adesso ad affrontare la dura realtà dei numeri: tanti, tantissimi ma non abbastanza per i Cinque Stelle e per il centrodestra  marchiato Salvini; pochi, pochissimi, ma pur sempre necessari a un qualsiasi governo, per il Pd e quello che resta della sinistra. Già, il governo. Ma siamo certi che, così stando le cose, abbiano tutti la stessa voglia di farlo questo benedetto governo?

Ragioniamo.

Luigi Di Maio pare dire di sì. Anzi, con la benedizione di Beppe Grillo  e di Davide Casaleggio, ha impostato tutta la sua campagna elettorale e la sua azione politica con quel preciso obiettivo: portare il movimento nella stanza dei bottoni dopo aver definitivamente chiuso l’era del “vaffa”. Ma, allo stato delle cose, nella stanza dei bottoni non può entrarci da solo. Dovrà scendere a patti. Dovrà – orribile parola per le sue orecchie – negoziare qualcosa con qualcuno, magari sacrificando anche alcune pedine che ha già disposto sulla sua personale scacchiera governativa. Sarà disposto a farlo? In verità, Di Maio può permettersi anche di non rischiare “contaminazioni” che potrebbero far storcere il naso ai suoi elettori duri e puri. Perché sa perfettamente che se altri si azzardassero a fare un governo contro i Cinque Stelle o anche a lasciare l’Italia senza governo per mesi o perfino anni, al prossimo giro di urne farebbe il pieno dei consensi e la stanza dei bottoni sarebbe di un solo colore: il giallo dei Cinque Stelle.

Passiamo al Pd. Se resta il PdR, ovvero nelle mani della banda Renzi, il destino è segnato. Opposizione e lento esaurimento se un qualsiasi governo dovesse nascere o rischio estinzione se si torna a votare a stretto giro di posta. Non a caso il più dispiaciuto di tutti all’annuncio delle dimissioni di Renzi è stato Beppe Grillo, il quale ha spiegato che se Renzi restasse segretario la prossima volta il Pd dovrebbe essere soddisfatto di un 10 per cento. L’altra ipotesi è che il PdR imploda e che i nuovi dirigenti o i neo parlamentari decidano di appoggiare un governo Cinque Stelle o – ipotesi tutt’altro che da escludere – un governo di centrodestra, magari non a guida Salvini. Forse si tratterebbe solo di allungare l’agonia, ma almeno si farebbe un po’ di chiarezza.

E veniamo  al centrodestra. Il Cavaliere fa buon viso a cattivo gioco ma è evidente che il sorpasso leghista gli brucia e non poco (ieri in un video ha fatto i complimenti a Salvini ma si è guardato bene dal riconoscere pubblicamente la sua premiership). Forza Italia un governo vorrebbe farlo eccome, perché a restare a bagnomaria rischia l’erosione di altri consensi da parte dell’amico-nemico leghista. Ma per Matteo Salvini vale un po’ lo stesso discorso fatto per Luigi Di Maio. Entrambi sembrano scalpitare per entrare nella stanza dei bottoni, ma entrambi possono permettersi il lusso anche di aspettare, nella quasi certezza di spolpare definitivamente alla prossima occasione quel che resta dei “moderati” di destra e del fu Pd.

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