ORA DI PUNTA/ Cari renziani, visto che ci siete…

di STEFANO CLERICI – Si sente dire da alcune parti che Matteo Renzi sarebbe tentato di buttare tutto all’aria e di fondare un partito suo, stile Macron in Francia. Ma che senso ha? Perché Renzi dovrebbe fondare un partito suo quando il partito suo già ce l’ha? I dissidenti pd della prima ora (vedi, ad esempio, Stefano Fassina o Pippo Civati) se ne sono andati da tempo; i “ritardatari” (vedi Pierluigi Bersani, Roberto Speranza, Pietro Grasso) sono andati tardivamente a cercare elettori nel bosco quando quelli del bosco avevano già trovato un’altra casa; gli ultimi irriducibili sono stati messi in lista senza paracadute in modo che si sfracellassero al suolo il 4 marzo (vedi il povero Cesare Damiano, che oggi si consola con la sua passione di sempre: dipingere gatti). Dunque – a parte l’autoescluso Gianni Cuperlo, il folcloristico governatore della Puglia Michele Emiliano e l’ultimo dei mohicani Andrea Orlando – l’intero fu Pd è oggi appassionatamente renziano. E’ il PdR, il partito di Renzi, appunto.

Ora, a noi non stanno particolarmente a cuore le sorti del PdR (ci stavano a cuore quelle del Pd, massacrato dal renzismo), ma condividiamo le profezie di molti osservatori: questo ostinato Aventino, questa disperata logica del “muoia Sansone con tutti i Filistei”, rischia non solo di portare all’estinzione questo partito ma anche di fare parecchio male all’Italia (le cui sorti, sì, ci sono state e ci saranno sempre a cuore). Per il bene del paese è bene che il PdR un’alleanza la faccia.

Personalmente, non siamo ancora stati folgorati sulla via di Pomigliano d’Arco e non siamo ancora convinti che il partito – certamente cambiato – di Luigi Di Maio sia la nuova “sinistra moderna”, come afferma (o forse solo spera) quel grand’uomo di Eugenio Scalfari, benhé oggi più ondivago del solito.  Anche se siamo i primi a riconoscere che gran parte degli elettori Cinque Stelle arrivano da casa nostra, ovvero dalla sinistra. Ma per noi le categorie destra e sinistra non sono superate, come dice Di Maio, e non lo potranno essere mai. Saranno forse superate ideologicamente, ma sul piano dei valori no. Quei valori di Libertà, Uguaglianza e Fraternità che dalla Rivoluzione francese in poi hanno sempre distinto chi cerca il bene comune e chi cerca, invece, il bene proprio. Ciò detto, se ci fosse ancora il Pd, per noi l’unica soluzione sarebbe un accordo con i Cinque Stelle per dar vita a un governo magari non guidato da Di Maio ma da una personalità come avrebbe potuto essere Stefano  Rodotà, un uomo di sinistra che cinque anni fa i «grillini» di allora candidarono alla presidenza della Repubblica.

Ma il PdR, invece, con i disprezzati “grillini” di oggi, ben più “evoluti” di quelli di allora, non vuole avere niente a che fare. Anzi, pare vederli come il fumo agli occhi. Ma allora – suggeriamo noi – se un’alleanza si dovrà fare, per il bene dell’Italia e per la sopravvivenza del partito, perché non portare a compimento il percorso verso destra che Renzi ha ostinatamente intrapreso, cancellando ogni traccia di sinistra nel fu Pd, fregandosene altamente delle numerose bastonate ricevute con referendum, amministrative e politiche? Quale migliore alleanza, adesso, se non quella, tanto rincorsa e agognata, con Forza Italia? Certo, non hanno come speravano i numeri sufficienti a governare ma non dimentichiamo che, sommando le attuali forze del PdR (18 e rotti per cento) a quelle di Berlusconi (14 e rotti per cento) si fa una forza quasi doppia di quella di Matteo Salvini, in grado di condizionare non poco, in chiave come si usa dire “moderata”, l’attività del governo, sia pure a guida leghista (ma magari con un personaggio alla Maroni al posto di Salvini).

Pensateci: l’Italia non rischierebbe più la paralisi, il re sarebbe finalmente nudo e potrebbe perfino contendere, un domani, a Matteo Salvini l’eredità del Cavaliere.

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