Il secondo atto del duplice attacco di S+M e B+R al ministro della Giustizia. Bonafede? No: Malafede

di ENNIO SIMEONE – Mentre gli italiani sono alle prese con le conseguenze del coronavirus e con il tentativo di dare concretezza alla speranza di un progressivo ma prudente ritorno alla normalità, oggi un ramo del Parlamento nazionale, il Senato, è stato costretto a discutere di due mozioni di sfiducia nei confronti del ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, nella speranza (dei proponenti) che  ciò potesse portare all’apertura di una crisi di governo. Basterebbe solo questo per avere una idea del livello di irresponsabilità nei confronti del paese al quale sono arrivati gli schieramenti politici di opposizione. 

Ma non basta: c’è di più e di peggio. Perché le due mozioni presentate a Palazzo Madama motivavano la loro sfiducia con due valutazioni che sono l’una il contrario dell’altra. Infatti, quella del centrodestra (promossa da Lega e Fratelli d’Italia, alla quale si è unita Forza Italia, dopo che Berlusconi aveva opposto un rifiuto alla proposta di sfiducia individuale nei confronti di un singolo ministro perché ciò… non rientra nel costume politico del suo partito) accusavano Bonafede di aver «scarcerato quattrocento mafiosi», e quella firmata dalla radicale Emma Bonino e dall’ineffabile Sandro Calenda, invece, lo accusava dell’esatto contrario, e cioè di  aver calpestato «i diritti dei cittadini e dei principi del giusto processo contro i fondamentali princìpi della civiltà giuridica con  violazione del principio di ragionevole durata del processo e la negazione costante del fine rieducativo della pena, e l’abrogazione di fatto della presunzione di non colpevolezza fino a sentenza definitiva».

In questo frullato di penosa incoerenza chi sembrava disposto ad inzupparvi il pane era il signor «Trepercento», fondatore di Italia Viva, il quale col corpo sta in Senato e con la mente nella portineria di Palazzo Chigi. Ma alla fine è stato il primo a fare dietro-front, smentendo coloro che lo davano pronto a far votare i senatori del suo gruppo a favore almeno di una delle due mozioni: quella della Bonino. Ha capito che se avesse insistito si sarebbe sputtanato senza peraltro provocare la caduta del governo. Dall’altro settore dell’aula, quello della Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia, è risultato vano il disperato tentativo della senatrice (nonché brillante avvocato e giurista) Giulia Bongiorno, che, travestendosi da ignorante, ha accusato il ministro di non aver fatto cose che non ad un ministro, ma al Parlamento (di cui lei fa parte) spetta fare, come la riforma del sistema penale. Per cui, quando si è passati alle votazioni, la mozione della destra è stata bocciata con 160 no, 131 sì e 1 astenuto, e la mozione della Bonino ha avuto la stessa sorte con 158 no, 124 sì, e 19 astenuti.

E i giornali che, a stampa unificata, da giorni profetizzavano la caduta del governo Conte con un irresponsabile tifo per lo sfascio, hanno relegato  sui loro siti il resoconto della seduta di Palazzo Madama in fondo alla home page. Poverini: non per la sofferenza procurata loro dall’esito delle due votazioni, ma per non turbare i più affezionati lettori.

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