OSSERVATORIO AMERICANO/ La fine dell’establishment repubblicano?

Domenico Maceridi DOMENICO MACERI* – “Si tratta di scegliere fra essere sparato o bere il veleno, che cosa importa?” Ecco come il senatore Lindsey Graham, repubblicano del South Carolina, ha descritto la scelta fra Donald Trump e Ted Cruz, i primi della classe alla nomination del Gop. Graham alla fine ha scelto il veleno, come stanno facendo i membri dell’establishment repubblicano. Ce lo testimoniano parecchi endorsement di luminari repubblicani come Jeb Bush, Mitt Romney, Carly Fiorina, Mike Lee e Mark Levin.
Jeb Bush, che ha abbandonato la sua corsa per la Casa Bianca circa un mese fa, è stato la faccia dell’establishment repubblicano nelle attuali primarie. Si prevedono anche altri “testimonial” per Cruz che cercheranno di stroncare Trump impedendogli di vincere la nomination e l’eventuale disfatta alle elezioni di novembre.
Scegliere Cruz come possibile portabandiera del Partito Repubblicano non è stato facile. Come si sa, Cruz ha fatto la sua carriera come il paladino dell’anti-establishment. Si ricorda la sua crociata contro l’Obamacare che ha condotto alla chiusura dei servizi governativi non essenziali nel 2013. Fresco nella memoria è anche il suo insulto a Mitch McConnell, presidente del Senato, che il senatore del Texas ha pubblicamente accusato di mentire.
Graham, in un intervento al Washington Press Club Foundation’s Congressional Dinner, ha scherzato dicendo che se qualcuno “uccidesse Ted Cruz nel Senato e il processo si facesse nella Camera Alta, il colpevole non sarebbe condannato”.
Perché dunque scegliere  il tanto odiato Cruz invece di Trump? Il senatore texano, nato in Canada, è stato descritto  da Jeb Bush come un “conservatore con principi”. Il contrasto ovviamente  è con Trump, le cui dichiarazioni offensive suscitano reazioni così negative da shoccare  non solo l’establishment repubblicano ma anche gli elettori in generale preannunciando una disfatta storica alle elezioni di novembre.
Anche Cruz probabilmente avrebbe lo stesso esito alle elezioni di novembre, ma il colpo sarebbe meno duro per il GOP. Una sonora sconfitta di Cruz potrebbe convincere l’ala destra del partito che la prossima volta bisognerà  ricominciare daccapo e nominare un moderato.
Tutti i moderati del GOP sono stati eliminati da Trump in queste primarie eccetto per John Kasich, governatore dell’Ohio. Kasich sarebbe stata l’ovvia scelta dell’establishment per le sue prese di posizione di centrodestra e per avere mantenuto una sobrietà nella sua campagna politica senza partecipare al tono volgare di Trump e alcune mosse poco appropriate di Cruz.
Kasich però ha avuto uno scarso successo nelle primarie, anche se è riuscito a vincere il suo importante Stato. Ciononostante, secondo i sondaggi, Kasich sarebbe competitivo in uno scontro diretto con Hillary Clinton e Bernie Sanders mentre invece ambedue Trump e Cruz ne uscirebbero perdenti.
La debolezza di Kasich però potrebbe aprire le porte della nomination a Trump,  dato che il magnate di New York potrebbe riuscire a raggiungere il fatidico numero di 1237 delegati e ottenere la nomination alla prima votazione. Se invece Trump non riceverà il numero richiesto si avrà una open convention  e dopo la prima votazione i delegati potranno scegliere di votare per il candidato secondo la loro coscienza. Cruz dunque è la migliore strada per sbarrare il cammino alla nomination a Trump. Anche se il senatore del Texas non otterrà i 1237 delegati necessari, l’establishment lo  vede come la carta vincente per negare a Trump la nomination.
Cruz, da parte sua, spera di avvicinarsi a Trump e poi alla seconda o successiva votazione vincere la nomination. Il problema per lui è che dalla seconda votazione in poi altri candidati più graditi all’establishment, come Paul Ryan, Mitt Romney ecc., potrebbero essere nominati e soffiargli la nomination. Ryan ha dichiarato di non essere interessato alla nomination, ma aveva anche detto la stessa cosa sulla sua nomina a speaker della Camera.
Sia come sia, la situazione del Partito Repubblicano è problematica. Persino la maggioranza dei repubblicani (60 per cento) è imbarazzata dal tono della campagna dei loro candidati. Lindsey Graham ha riconosciuto la disperata situazione del suo partito in un’intervista concessa a Trevor Noah del programma satirico The Daily Show. “Siamo fottuti” ha detto Graham. Speriamo che si riferisse al suo partito e non a tutto il Paese.

*Domenico Maceri  docente di lingue all’Allan Hancock College, Santa Maria, California  (dmaceri@gmail.com)  

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