OSSERVATORIO AMERICANO/ Trump, padrone assoluto del Partito Repubblicano

di DOMENICO MACERI* – La piattaforma approvata alla Convention 2020 del Partito Repubblicano consiste in una risoluzione che rinnova ciò che i delegati hanno approvato nel 2016. Include un aggiornamento che il Partito “continuerà ad appoggiare in modo entusiastico l’agenda di America First” del presidente Donald Trump. L’agenda di Trump rimane un mistero nonostante le interviste concesse alla Fox News nella quali il 45esimo presidente è rimasto evasivo su ciò che intende fare se gli americani gli rinnoveranno il mandato fra una sessantina di giorni. In effetti, il Partito Repubblicano non solo si è inchinato al suo leader ma ha deciso che Trump non è solo il capo ma anche il padrone assoluto.

Gli interventi alla recente convention ci confermano che Trump si è piazzato al centro delle attività mettendo da parte gli altri “luminari” del Partito che di solito sono invitati a fare le loro presentazioni. Una buonissima parte dei partecipanti alla convention sono stati membri della famiglia di Trump con pochissimi individui che ci ricordano la storia del partito. A differenza della convention del Partito Democratico, dove ex presidenti ed altri “luminari” sono intervenuti, in quella di Trump le dinastie dei leader repubblicani sono state assenti. George W. Bush, 43esimo presidente, e altri membri della sua famiglia attivi in politica come il fratello Jeb, hanno saltato la convention. Gli ex portabandiera come Mitt Romney, candidato repubblicano alla presidenza nel 2012 e i rappresentanti della famiglia di John McCain, portabandiera nel 2008, hanno anche loro ignorato la convention. In effetti, i VIP del Partito Repubblicano dal 1980 al 2016 sono scomparsi. Gli unici “luminari” sono stati Kevin McCarthy, attuale leader della minoranza alla Camera, e Mitch McConnell, attuale presidente del Senato. In ambedue i casi gli sono stati accordati 6 minuti per parlare. In sintesi, la convention repubblicana è stata non solo senza piattaforma, eccetto quella nella mente di Trump, ma anche uno spettacolo in cui lui stesso o i membri della sua famiglia hanno agito da protagonisti.

Si tratta di uno spettacolo in cui Trump non è solamente la super star ma tutti gli altri attori sono piazzati in un ruolo di ovvio supporto. Quelli che non possono abbracciare questa ideologia vengono messi da parte. I luminari del Partito dunque sono scomparsi oppure si ribellano anche se in modo poco stridente. Alcuni però lo hanno fatto prendendo chiare distanze da Trump. John Kasich, ex governatore dell’Ohio e candidato di un certo successo alla nomination del Partito Repubblicano nel 2016, eventualmente sconfitto da Trump, è intervenuto alla convention democratica. Kasich ha suonato l’allarme contro il 45esimo presidente, lodando Joe Biden, il portabandiera democratico. Christine Todd, ex governatrice del New Jersey e Cindy McCain, vedova del senatore John McCain, hanno anche loro dato il loro endorsement a Biden. Altri luminari repubblicani come George W. Bush, presidente 2000-2008 e Mitt Romney, portabandiera del Partito Repubblicano nell’elezione del 2012, non hanno offerto pubblicamente l’endorsement a Biden ma la loro assenza dalla convention repubblicana non è passata inosservata.

Alcuni analisti hanno affermato che sotto molti aspetti Trump non è veramente repubblicano facendo notare i principi tradizionali del partito. Questi includono un programma che fonde un conservatorismo sociale sposato con tendenze economiche liberiste e una politica estera basata su una linea dura. L’attuale inquilino della Casa Bianca riflette questi princípi pallidamente avendoli rimpiazzati con una politica principalmente riflettente i suoi sentimenti del momento. La mancanza di piattaforma alla convention ce lo conferma poiché gli offre anche mano libera per operare come lui crede.

Nell’elezione del 2016 Trump fu eletto in parte perché non era un candidato dell’establishment repubblicano né di quello dell’ambiente di Washington, promettendo di asciugare il pantano. In realtà, dopo l’elezione, una buona parte dei suoi collaboratori erano individui che conoscevano il governo federale. Avrebbero dovuto fargli da guida, considerando la sua inesperienza politica. Poco a poco però Trump ha cacciato la stragrande maggioranza di questi professionisti della politica rimpiazzandoli con individui a lui grati, spesso provenienti dalla Fox News. I messaggi per potenziali collaboratori divennero chiarissimi: fedeltà al presidente o in caso contrario poche possibilità di permanenza. Alla convention si è avuta la conferma di questa sua politica, eliminando le regole tipiche come la piattaforma del Partito che storicamente non lega le mani dell’eventuale presidente ma serve più come ideologia simbolica del partito. Trump non ne ha bisogno. L’ideologia risiede nella sua mente.

In effetti, Trump ha cancellato il partito creando il proprio sistema senza preoccuparsi degli altri candidati repubblicani i quali sono condannati al destino del loro capo. La piattaforma e la convention sono tipicamente anche una campagna per i candidati a governatori, senatori, sindaci e tante altre cariche. Trump ha alla fine creato un clima in cui l’elezione si sta convertendo in un referendum su lui stesso. Al momento questa situazione sembra favorire Biden, il quale, anche se poco entusiasmante, è visto dalla maggioranza degli americani come l’alternativa a un individuo con tendenze narcisistiche e autoritarie.

*Domenico Maceri, PhD, è professore emerito all’Allan Hancock College, Santa Maria, California  (dmaceri@gmail.com).

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