Le velleità di quel cosiddetto “centro”, che somiglia a una zattera per fuoriusciti

di SERGIO SIMEONE Lo scontro politico tra i partiti si va facendo sempre più aspro, poiché ognuno di loro, con l’avvicinarsi delle elezioni politiche, vuole dare risalto alla propria identità. Se andiamo a guardare bene i temi sui quali avviene lo scontro e le posizioni che su di essi vengono assunte, si evidenzia che non si tratta di tante battaglie  separate l’una dall’altra, ma del delinearsi di due visioni nettamente distinte e contrapposte di società.

Vediamo innanzitutto ciò che avviene sul terreno sociale. I temi più rilevanti appaiono il   reddito di cittadinanza e il salario minimo garantito. I partiti che vogliono correggere le criticità emerse nella  attuazione del reddito di cittadinanza per salvare e migliorarne la sua funzione e mirano ad approvare una legge che garantisca un salario minimo evidentemente hanno in mente una società che si prende cura dei più deboli, di coloro, cioè, che non sono in grado di produrre un reddito che permetta loro di sopravvivere e di impedire lo sfruttamento feroce di chi lavora, ma non gode di tutele sindacali adeguate. I partiti che vorrebbero cancellare del tutto il reddito di cittadinanza e si oppongono alla fissazione legislativa di un salario minimo pensano evidentemente ad una società improntata al darvinismo sociale nella quale i forti sopravvivono e i deboli soccombono.

Se dal terreno sociale passiamo a quello dei diritti civili, le battaglie per lo ius scholae, per la tutela delle minoranze sessuali, per l’autodeterminazione del fine vita, per la legalizzazione della cannabis, per la piena attuazione della legge 194 sull’aborto sono tanti episodi di un unico scontro nel quale si confrontano, anche qui. due “visioni” di società, quella della sinistra e dei progressisti, che vogliono creare una società aperta, accogliente, tollerante, nella quale i cittadini siano rispettati in quanto ritenuti capaci di fare le scelte  che riguardano la loro vita  e quella della destra reazionaria, secondo la quale l’Italia è una fortezza assediata da chi minaccia la sua identità, per cui si deve impedire la intromissione di soggetti di altre razze, che possono essere portatori di  altre culture, fino ad escludere anche chi ha frequentato le nostre scuole e non conosce altre lingue che l’italiano, ed i cittadini non sono liberi di decidere autonomamente le scelte che riguardano la loro vita (dal sesso al modo in cui vogliono porre fine alla propria esistenza), ma sono sottoposti al controllo asfissiante di uno stato etico, che li ritiene tutti dei minus habens.

Queste due visioni così nettamente contrapposte pongono innanzitutto termine al tentativo fatto negli ultimi anni dal populismo di far passare nella pubblica opinione l’idea che con la morte delle ideologie non ci fosse più differenza tra destra e sinistra. Ma esse rendono poco plausibile anche un altro tentativo, quello di far nascere un centro politico mediante l’aggregazione di piccoli partitini sorti recentemente ad opera di leader che non trovavano spazio adeguato nei Partiti di appartenenza. Queste piccole formazioni, se si sommassero i consensi registrati dai sondaggi, potrebbero effettivamente raggiungere dimensioni ragguardevoli. Eppure anche se tutti i leader si dichiarano centristi l’aggregazione non avviene. Come mai? Molti attribuiscono la responsabilità di questo mancato incontro al fatto che ognuno di loro ha una esagerata considerazione di sé e mai accetterebbe di fare il gregario di un altro. La verità vera è che un’aggregazione si forma quando c’è una visione comune. Ma quale visione comune ha il cosiddetto centro, che si distingua dalla destra e dalla sinistra sui temi sopra citati? Nessuno l’ha mai formulata, Calenda, né Renzi, né Toti, né Brugnaro e nemmeno il nuovo arrivato Di Maio. Quello che si conosce sono solo le invettive che si lanciano periodicamente l’un l’altro.

Il centro è divenuto così un mitico luogo geografico che al massimo potrà dar vita (ma anche questo è difficile) ad un cartello elettorale che dovrebbe costituire una zattera che permetta di porre in salvo i destini politici di alcuni dei fuorusciti dai vari partiti. Ma non credo che avrà più fortuna della zattera della medusa.

*Sergio Simeone, docente di Storia e Filosofia, è stato anche dirigente del Sindacato Scuola della Cgil

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