L’ALTRO DEGLI ALTRI/ Antologia della informazione deformata in tempo di elezioni

Per la rubrica “L’Altro degli altri” vi riproponiamo oggi due editoriali del direttore del “Fatto quotidiano”, Marco Travaglio, pubblicati sul giornale di cui è direttore l’1 e il 4 febbraio.

“Si fa ma non si dice”

(ovvero: Come i giornali italiani manipolano la verità)

«Siccome la mamma dei cretini è sempre gravida, l’addetto stampa del M5S in Veneto, tal Ferdinando Garavello, raccomanda a candidati e comunicatori una regola praticata dai politici di tutto il mondo da che mondo è mondo: lo sputtanamento degli avversari. Solo che, anziché dettarla a voce senza lasciare tracce, commette l’ingenuità di metterla per iscritto in un messaggio collettivo via social (“In campagna elettorale faremo molta comunicazione negativa sui partiti e sui candidati. Quindi, ognuno di voi va a cercarsi i diretti concorrenti e tira fuori tutto il peggio che si può tirar fuori: nefandezze, foto imbarazzanti, dichiarazioni e tutto quello che può servire a fare campagna negativa su di loro”). Che ovviamente finisce sui giornali. Che ovviamente scatenano i loro sepolcri imbiancati e le loro verginelle violate, fingendo di indignarsi per l’invenzione della gogna, come se non fosse vecchia come la ruota. Come se la propaganda elettorale negativa l’avessero scoperta i 5Stelle o quel tal Garavello. Come se fin dall’inizio della storia della Repubblica la Dc e il Pci non si combattessero a colpi di campagne sui comunisti che mangiavano i bambini e volevano abolire la religione (“Nel segreto dell’urna Dio ti vede, Stalin no”) e, dall’altra, sui democristiani “forchettoni” al soldo dell’America. O come se nell’agosto del 2016 Filippo Sensi, allora portavoce di Renzi e poi di Gentiloni, ora in lista nel Pd, non avesse postato per sbaglio in una chat con i giornalisti delle agenzie, insieme alle consuete veline di giornata, anche un ordine che era meglio impartire a voce: “Proviamo a menare Di Battista sul discorso della Libia ricordandogli l’Isis”. E la cosa non destò scandalo, perché il pentastellato non era il picchiatore, ma il picchiato. Dunque, giù botte.

Su La Stampa, il commissario Jacopo Iacoboni parla di “macchia del fango pro M5S”, per distinguerla da quella anti-M5S che lo vede protagonista incontrastato. Sempre per la stampa umoristica, Libero titola: “Di Maio ordina ai suoi: sputtanate gli avversari”. E il Giornale: “Ordine di servizio ai militanti: infangate i candidati avversari”. Cosa che Libero e il Giornale non si sognerebbero mai di fare con gli avversari di Berlusconi e Salvini. Quindi cercare altarini imbarazzanti (e magari veri) degli avversari è “macchina del fango” se lo dice un 5Stelle, mentre se il portavoce del governo istiga a “menare” un 5Stelle è cosa buona e giusta.

Stesso sistema per gli impresentabili. Nei giorni scorsi abbiamo pubblicato l’elenco completo (o quasi: se ne scopre sempre qualcuno nuovo) dei più impresentabili fra gli impresentabili.

E cioè gli inquisiti, imputati e condannati per reati gravi in lista: FI&Pd ne candidano a decine, Lega e FdI qualcuno, LeU un paio, i 5Stelle nessuno. Infatti ieri il Giornale Unico dell’Inciucio che quotidianamente esce nelle edicole sotto le testate del Corriere, di Repubblica, del Messaggero e de La Stampa, titolava sugli impresentabili dei 5Stelle, come se fossero un esercito. La Stampa: “Di Maio scivola sugli impresentabili”. E chi sarebbero? Alcuni “indipendenti” ex iscritti o ex simpatizzanti di altri partiti (Pd, FI, Lega), mai indagati né sospettati di nulla di men che corretto; il solito addetto stampa veneto, che non è candidato, dunque non può essere impresentabile perché non si presenta; e l’ormai famigerato Emanuele Dessì da Frascati, che postò una foto sui social con Domenico Spada prima che fosse inquisito per la testata al cronista, rivelò di aver picchiato un rumeno che minacciava la sua famiglia, elogiava la violenza e vive in una casa popolare a 7,9 euro al mese da quando era nullatenente. Il classico candidato che, se queste cose fossero emerse prima, Di Maio avrebbe cancellato dalle liste (le segnalazioni di “nefandezze” sono richieste anche all’interno del M5S e sono servite al leader per eliminare un po’ di soggetti imbarazzanti). Ora che è troppo tardi, Dessì verrà fatto dimettere da deputato in caso di elezione e comunque rischia l’espulsione dal M5S.

Ma si tratta pur sempre di un caso singolo su 348 candidati uninominali e circa 400 plurinominali, selezionati in un mese su quasi 15 mila concorrenti alle Parlamentarie. Invece, da uno solo, si riesce a far apparire che siano tutti così. Corriere: “Parlamentarie M5S, caos tra addii e accuse. Pd: 240 euro di sgravi per i figli a carico”. La par condicio è assicurata: i 5Stelle sono citati per il “caos” e gli “addii” (al plurale, anche se se n’è andata solo un’ex deputata che non verrà rieletta, essendo finita quarta su quattro nel listino proporzionale, ndr) e il Pd per i tanti bei soldini che regalerà alle mamme e ai papà. Stesso giochino su Repubblica: “Il Pd: aiuti a famiglie e lavoro. Senza Grillo, M5S nel caos” (prima, per Repubblica, il M5S era sempre nel caos perché Grillo comandava da solo dal blog, ora è nel caos perché s’é fatto un blog tutto suo e non comanda più). E sul Messaggero: “Tra impresentabili, ricorsi e dimissioni è caos M5S”, “L’incubo impresentabili ritorna”. Invece, se Minniti, Del Rio, la minoranza interna di Orlando ed Emiliano, le federazioni locali si ribellano ai paracadutati, alle epurazioni e alle liste indecenti di Renzi, nessun “impresentabile”, nessuna “rivolta”, nessun “caos”: al massimo “malumori”, ma parlando con pardon e chiedendo scusa alle signore (Corriere: “I malumori di Delrio e Minniti per le ‘garanzie’ del segretario su collegi e posti nelle liste). E sia chiaro: l’unico impresentabile, peraltro mai indagato, del M5S, puzza come la cloaca massima, mentre decine di impresentabili voluti e candidati apposta da FI&Pd profumano di Chanel n.5.

Intanto il Consiglio di Stato torna a bocciare la “riforma” del competentissimo ministro dei Beni culturali Dario Franceschini che apre i musei italiani ai direttori stranieri. E tutti i giornaloni danno ragione a Franceschini che strilla contro i giudici cattivi. Nessuno spiega che la magistratura amministrativa agisce in base alla Costituzione e a un divieto imposto dalla legge 165/2001 del governo Amato, varata dall’allora sottosegretario alla presidenza del Consiglio: Dario Franceschini.

Ma il meglio arriva sull’ennesimo “caso vaccini”. Da due giorni Repubblica, Corriere, Stampa, Messaggero (e anche il Foglio, con una lectio magistralis del virologo rag. Cerasa) la menano sulla Raggi “No Vax” che si ribella alla Lorenzin dunque alla Scienza, spalleggiata da Salvini & Meloni, anch’essi tifosi e untori di tutti i virus disponibili sul mercato. E, siccome tutti lo scrivono, tutti ci credono. Peccato che, a impedire i vaccini obbligatori per tutti siano proprio quelli che dicono di volerli: la Lorenzin che ha fatto un decreto senza coperture né strutture per renderlo operativo in tutte le Asl d’Italia, tant’è che si parla di 40mila bimbi ancora non in regola che rischiano di essere sbattuti fuori da asili e scuole. Di questi, 10 mila vivono nel Lazio e 8mila a Roma (dove le Asl dipendono dalla Regione amministrata dal Pd). Allora il Consiglio comunale della Capitale ha approvato una mozione dei 5 Stelle non per difendere i No Vax, ma per tenere a scuola i figli dei Sì Vax che rischiano l’espulsione o la multa perché non si riesce a vaccinarli per colpa del governo e della Regione. Il Messaggero: “Raggi e Salvini uniti nella lotta contro l’applicazione della legge sui vaccini obbligatori”. Repubblica: “Lorenzin: ‘Sui vaccini Raggi fuorilegge’. Con lei Di Maio e Salvini. Renzi: ‘Incivile’”. Il Foglio: “La scelta di Raggi sui vaccini dimostra che l’estremismo non è solo sbagliato: è pericoloso”. Poi si scopre che la mozione Raggi – molto simile a quelle appena approvate a Firenze e in Toscana da Pd&C. – non l’hanno votata solo i 5Stelle e le destracce, ma l’intero Consiglio comunale all’unanimità: compreso il Pd, che tiene i piedi in due scarpe, come quando sparava contro il nuovo stadio della Roma e poi votava a favore.

Tutto questo però è meglio non scriverlo. Sennò poi i lettori capiscono che i giornaloni fanno peggio di ciò che rimproverano a quel tal Garavello: la “gogna” e la “macchina del fango” per “tirare fuori il peggio”, ma solo sui 5 Stelle. E, se non lo trovano, se lo inventano».

Marco Travaglio (4 febbraio 2018)

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Truffe cammellate

(Ovvero: Quando dicono coalizione pensano alla colazione)

«Purtroppo l’ipocrisia, che fa rima con amnesia, dei giornaloni italiani e stranieri ha contagiato anche Romano Prodi. È l’ipocrisia-amnesia di chi, nella migliore delle ipotesi, non dice mai una parola su Silvio Berlusconi e, nella peggiore, ne parla per riabilitarlo. Ha cominciato Eugenio Scalfari, ha proseguito Carlo De Benedetti (che non si capisce perché abbia litigato con Scalfari, visto che su “Di Maio peggiore di tutti i mali”, persino di B., concorda in pieno), poi s’è pentito Bill Emmott, infine Le Monde s’è addirittura scusato per aver accostato B. alla mafia (per una volta che ne aveva azzeccata una). E l’altroieri è arrivato pure il New York Times a spiegarci che il Caimano “non è più lo zimbello della politica europea” e che l’unica scommessa sicura delle prossime elezioni in Italia è che sarà lui il kingmaker”, che “improvvisamente non sembra così male”, che ora si presenta addirittura come un saggio e moderato statista”. Ma questi signori lo sanno o non lo sanno che il saggio e moderato statista, quello che sarebbe meglio di Di Maio, è un pregiudicato per frode fiscale, un indagato per le stragi mafiose del 1993 (venti morti e parecchi feriti fra Firenze, Roma e Milano), un pagatore seriale di Cosa Nostra e un pluriprescritto per corruzione semplice e giudiziaria, per falso in bilancio e per compravendita di senatori avversari? Un tempo la stampa estera ci aiutava a ricordare ciò che quella nazionale tentava di farci dimenticare. Ora collabora con quella nostrana per farci perdere il poco di memoria rimasto.

Prodi intanto ci spiega che Renzi, quello che prima ha messo alla porta i bersaniani, poi ha tradito il “partito delle primarie” facendosi le liste dei nominati come pareva a lui, infine ha fatto fuori le minoranze di Orlando, Cuperlo ed Emiliano per imbarcare una carrettata di fedelissimi suoi e berlusconiani, “lavora per l’unità del centrosinistra”. Testuale. Infatti, in nome dell’unità del centrosinistra, il Professore a Bologna dovrà votare Casini, che per 20 anni è stato eletto col centrodestra, contro una figura storica del centrosinistra bolognese come Vasco Errani, che corre con LiberieUguali, dunque a Prodi non piace più perché “senza coalizioni non si vince”. E quale sarebbe, di grazia, la “coalizione” di “centrosinistra”? Quella del PdR (Partito di Renzi) con tre foglie di fico appese alle pudenda: +Europa della premiata ditta Bonino-Tabacci (entrambi già al governo con B.), Civica e Popolare della Lorenzin&C. (alfaniani da sempre in lista con B.) e Insieme dei trascinatori di folle Santagata (ulivista), Bonelli (verde) e Nencini (socialista).

Una coalizione-patacca, come tutti sanno, visto che le tre liste non hanno alcuna speranza di superare il 3% per entrare in Parlamento, ma con l’1% porteranno voti al mulino di Renzi, moltiplicando i suoi seggi. Una truffa ben nascosta nel Rosatellum, che indurrà molti ingenui elettori di centrosinistra che detestano Renzi a illudersi di punirlo votando Bonino o Insieme, senza sapere che i loro voti andranno tutti a Renzi e al suo Giglio Fradicio: bella punizione, non c’è che dire. Prodi questo trucco lo conosce benissimo e, se non lo svela, è perché spera che molta gente ci caschi. Ma non sarà facile, viste le candidature del Pd e anche di FI, fatte apposta per spalancare la strada al governo Renzusconi prossimo venturo. Renzi ha silurato l’antiberlusconiano Di Pietro, che aveva preannunciato il suo no a un governo-inciucio. B. ha ricambiato lasciando a casa il forzista antirenziano Augello, troppo battagliero in Commissione Banche sullo scandalo Etruria-Boschi. Il Caimano e il Caimanino non si attaccano mai a vicenda, preferendo sparare entrambi sui 5Stelle e dichiarare pubblicamente che il nemico pubblico numero 1 è Di Maio.

Siccome poi B. era assediato da processioni di ex amici tornati a Canossa, anzi ad Arcore, e non poteva garantire un posto a tutti, l’amico Matteo se li è caricati sulle spalle e glieli ha piazzati in collegi sicuri del Pd. Tanto dopo si fa tutta un’ammucchiata: raccolta differenziata fino al 4 marzo, indifferenziata dopo. In Lombardia chi vota Pd deve ciucciarsi Paolo Alli, già braccio destro di Formigoni e il consigliere regionale Pdl Angelo Capelli. In Emilia Romagna, oltre a Casini e alla Lorenzin, i compagni pidini dovranno sorbirsi Sergio Pizzolante, eletto con FI nel 2006, nel 2008 e nel 2013, ora targato Pd. In Toscana dovranno digerire Gabriele Toccafondi, ex leader dei Giovani Azzurri e già capo-gabinetto di Bonaiuti; e l’ex giudice Cosimo Ferri, già ras di Magistratura Indipendente, sottosegretario dal 2013 in quota FI. A Pescara dovranno inghiottire Federica Chiavaroli, ex coordinatrice del Pdl, che ora ha levato la “l”. In Campania dovranno cuccarsi Giuseppe De Mita, nipote d’arte, ex Udc come lo zio. In Basilicata dovranno deglutire Guido Viceconte, da sempre con B. In Calabria dovranno votare per Nico D’Ascola, ex socio di Ghedini ed ex difensore di B. e Scopelliti; e pure Giacomo Mancini jr., sei partiti alle spalle, primo dei non eletti di FdI alle ultime Regionali. In Sicilia, oltre a una pletora di cuffariani e lombardiani, dovranno sopportare Gioacchino Alfano, ex FI ed ex Pdl come il suo omonimo. Sarebbe questo il Pd che “lavora per l’unità del centrosinistra”?

Siccome non c’è limite all’ipocrisia, l’altroieri Repubblica titolava in prima pagina “M5S, il passo falso sui candidati” perché – orrore – ne avevano due iscritti al Pd e non se n’erano accorti. Invece, se Renzi che candida una ventina di berlusconiani e una vagonata di inquisiti (tutti peraltro del Pd), e non per sbaglio ma apposta, nessun passo falso. È tutto calcolato. Dicono “coalizione” e già pensano a B. Cioè alla colazione».

Marco Travaglio (1 febbraio 2018)

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