Bocciature alle previsioni del governo per l’economia da Ufficio parlamentare di bilancio, Corte di Conti e Bankitalia

Le audizioni di Bankitalia, Corte dei Conti e Upb (Ufficio parlamentare di bilancio)  fanno luce su Def (il Documento di Economia e Finanza)  presentato la scorsa settimana dal governo e

Il Presidente del Consiglio Matteo Renzi (s) e il ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan a Palazzo Chigi durante la conferenza stampa dopo il CdM che ha approvato il Def, Roma, 8 Aprile 2016. ANSA/ GIUSEPPE LAMI
Foto di Giuseppe Lami per Ansa 

illuminano una prospettiva per i conti dell’Italia ben diversa da quella illustrata da Renzi e dal suo ministro Padoan (foto) e attenuata dal solito Istat, che ha evidentemente l’incarico da Palazzo Chigi di compensare le analisi della situazione italiana con alcune pennellate di  ottimismo.

In particolare l’Ufficio parlamentare di bilancio boccia le nuove stime macroeconomiche della Nota di aggiornamento del Def. Le previsioni sul Pil del 2017 sono “significativamente fuori linea”, troppo ottimistiche, tali da far propendere per la prima volta l’Autorità dei conti pubblici per un esito “non positivo” del processo di validazione del quadro programmatico. Anzi, afferma ancora l’Upb,  anche sul fronte della finanza pubblica, predomina l’indeterminatezza. Infatti su uno dei cardini su cui dovrebbe imperniarsi la legge di bilancio, ovvero l’aumento del deficit 2017 dal 2 al 2,4%, “vi è  incertezza” riguardo alla possibilità che la richiesta di considerare che le spese per sisma e migranti venga effettivamente accolta in sede europea.

La critica di Giuseppe Pisauro, finora limitata nel quadro tendenziale solo al medio termine, 2018 e 2019, è stavolta a tutto campo. Di fatto il carattere espansivo della legge di bilancio è sovrastimato. “Lo scostamento della crescita programmatica è imputabile all’impatto della manovra, stimato dalla Nota di aggiornamento in uno 0,4% rispetto al quadro tendenziale, il doppio di quanto ipotizzato in media dal panel Upb”, ha sottolineato il presidente dell’Authority in audizione in Parlamento, non nascondendo perplessità per “l’effetto marginalmente espansivo (+0,1%) della riduzione del deficit (-0,5%) necessaria per correggere parzialmente il maggior indebitamento derivante dalla disattivazione della clausola di salvaguardia (+0,9)”.

Anche sulle clausole, il problema non sembra affatto risolto, almeno dopo il 2017. Leggendo la Nota, per 2018 e 2019 “si deve presumere che l’aumento dell’Iva rimarrà nella legislazione vigente”, eventualità – questa – che, a giudizio dell’Upb, “costituisce un’ipoteca” sulla politica di bilancio futura e dà al quadro programmatico “un carattere esplicito di provvisorietà”. L’Ufficio, che ha già mandato al Mef le sue osservazioni dettagliate, si riserva comunque di rivalutare il quadro a metà mese, quando verrà presentato, ai fini europei, il Documento programmatico di bilancio.

Anche per la Banca d’Italia  resta qualche scetticismo:  insiste in particolare sull’obiettivo di crescita del 2017, giudicato “ambizioso”. Per centrare l’1% di Pil bisognerà definire la prossima legge di bilancio “con grande cura”, ha osservato il vicedirettore generale di Bankitalia, Luigi Federico Signorini. Bisognerà puntare sugli investimenti, pubblici e privati, e bisognerà proseguire sulla strada della spending review, giudicata indispensabile. Allo stesso tempo, vista la revisione dei dati sul debito, in riduzione solo dal prossimo anno, sarà anche necessario che il governo delinei una strategia chiara sul programma di privatizzazioni.

La Corte dei Conti, invece, rileva elementi di fragilità da cui potrebbe derivare un “rischio al ribasso” delle prospettive di crescita. I magistrati contabili puntano il dito soprattutto sulla domanda estera e quindi sulle nostre esportazioni, non negando i risvolti “avversi” che una crescita meno sostenuta potrebbe avere anche sulla finanza pubblica. In questo quadro i margini in cui far muovere la legge di bilancio sono stretti e trovare le coperture sarà un esercizio di certo impegnativo.

L’unica nota positiva arriva dal dato reale sul fabbisogno del settore statale: nei primi tre trimestri dell’anno si attesta a 45,5 miliardi, con una riduzione di circa 4 miliardi rispetto al corrispondente periodo del 2015.

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