5 punti da chiarire per capire (e far capire) dove il M5s vuole (e può) approdare

di SERGIO SIMEONE* –  “Sembrava fosse amore e invece era un calesse”. Il titolo che Massimo Troisi diede ad uno dei suoi film potrebbe andare bene anche per riassumere le vicende del Movimento 5 stelle dalla sua nascita fino ad oggi. Potrebbe andare bene perché  servirebbe a sottolineare la elasticità e la disinvoltura con cui i suoi dirigenti  prima si innamorano di certi slogan e di certe scelte politiche per poi scoprire che si trattava  di semplici infatuazioni. Si pensi, per fare qualche esempio, all’euroscetticismo, alla collocazione dei suoi europarlamentari  nel gruppo dell’UKIP di Farage  e al successivo tentativo di passare nel gruppo liberale  con successivo ritorno nell’UKIP; al sostegno a Maduro, al flirt con l’ala più oltranzista dei gilet gialli; al rifiuto di ogni alleanza (ricordate l’irrisione di Bersani in streaming?) mutatosi poi in alleanza prima con la Lega e poi con il PD e LEU, al giustizialismo estremo (bastava ricevere un avviso di garanzia per divenire degli appestati).

Ed ecco l’ultima novità: il giorno dopo che  Luigi Di Maio aveva dichiarato che i 5 stelle erano diventati un movimento liberale e moderato si viene a sapere che il movimento sta per chiedere invece di essere ammesso nel gruppo parlamentare europeo dei socialisti e democratici. Si deve essere felici per questa scelta? Di primo acchito sì. Si devono subito spalancare loro le porte? Visti i precedenti da noi ricordati meglio essere prudenti.

Chiariamo. Dopo tante giravolte gli ultimi comportamenti dei 5 stelle indicano tutti una evoluzione positiva del movimento: il varo del governo Conte 2 fondato sull’alleanza con PD e LEU e la   chiusura definitiva alla Lega di Salvini ed alla sua politica xenofoba e securitaria ; il voto a favore della elezione di Ursula von der Leyen,  per la presidenza della Commissione europea e  quello a favore del recovery plan; il senso dello Stato dimostrato con l’adesione al governo Draghi (vincendo la comprensibile ripugnanza per la forzata coabitazione con Lega e Forza Italia); la insofferenza molto prossima alla rottura verso il soffocante protettorato esercitato da Casaleggio con la sua piattaforma Rousseau.

Ma dopo aver fatto questi doverosi riconoscimenti c’è da considerare, però, che il movimento si presenta oggi come un magma ribollente, con una base frastornata e confusa perché divisa  tra il ricordo non del tutto spento degli slogan che hanno contraddistinto la sua prima fase (quella del vaffa) ed il comportamento più maturamente politico ed istituzionale del gruppo dirigente.

Sorge perciò inevitabile la domanda se i più recenti comportamenti  sono espressione di un nuovo corso che segna una evoluzione irreversibile della creatura di Grillo o sono solo scelte tattiche destinate ad essere abbandonate dopo un periodo di “infatuazione”; se si è sedimentata negli iscritti e nel gruppo parlamentare la consapevolezza che sia necessario  un deciso mutamento di rotta. Per avere la certezza che l’opzione scelta sia la prima occorrerebbe che il movimento facesse una rilettura critica della sua storia ed approdasse alla stesura di un documento – scritto nero su bianco perché (antica regola del Monte dei Pegni napoletano) … chiàcchiere e tabacchère ‘e ligname ‘o Banco ‘e Napoli non l’impegna ) – che delineasse con precisione e chiarezza la sua nuova identità. I punti dirimenti su cui si dovrebbe pronunciare sono a mio parere i seguenti:

1. Un movimento che vuole entrare nel gruppo dei socialisti europei non può più dichiararsi “né di destra né di sinistra”, ma deve decidere di collocarsi decisamente nel campo della sinistra e dichiarare di condividerne i valori.

2. Il movimento deve riconoscere che il Parlamento non è una scatoletta di tonno, ma il perno del nostro sistema democratico.

3. Corollario del punto precedente è che la democrazia rappresentativa deve essere considerata la forma preminente attraverso la quale si esprime la partecipazione popolare al governo del Paese, riservando alla democrazia diretta una funzione integrativa della prima, come già previsto dalla nostra Costituzione.

4. La scelta europea va fatta fino in fondo: l’UE deve divenire una federazione, non una confederazione di Stati. E ciò può avvenire mediante la sostituzione del principio di unanimità con quello di maggioranza nell’assunzione delle decisioni e mediante la cessione di sovranità degli Stati membri in favore degli organismi europei in una serie di materie (soprattutto fisco, difesa e politica estera).

5. Il movimento (o partito ) deve darsi una struttura realmente democratica: non è vera democrazia quella che si riduce ad indire di tanto in tanto referendum nei quali i militanti sono chiamati a dire sì o no a quesiti formulati molto spesso in maniera manipolatoria (come l’ultimo referendum sulla partecipazione al  Governo Draghi). La democrazia è fatta di continua interazione tra gli iscritti e tra questi e il vertice.

Sappiamo che il professore Giuseppe Conte ha manifestato la sua disponibilità ad assumersi l’incarico di stilare un documento che sia alla base della rifondazione del movimento. Occorre perciò aspettare l’esito di questo eventuale lavoro e l’accoglimento che avrà da parte degli iscritti. Solo dopo si potrà valutare se ci sono le condizioni per l’ ingresso del movimento  nel gruppo parlamentare europeo dei socialisti e dei democratici.

Tanta cautela può sembrare eccessiva, ma è  necessaria anche alla luce dell’infortunio occorso al gruppo del Partito Popolare Europeo, che, a suo tempo, spalancò incautamente le porte alla FIDESZ dell’ungherese Orbàn pensando di rafforzarsi con l’aumento dei membri, salvo poi accorgersi di avere invece ingurgitato una specie di verme solitario che voleva solo succhiare i fondi europei fregandosene altamente dei valori di cui quel gruppo era portatore, a partire dallo Stato di diritto.

*Sergio Simeone, docente di Storia e Filosofia, è stato anche dirigente del Sindacato Scuola della Cgil

 

 

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