Se cade il velo dell’ipocrisia sulle parole “salvataggio” e “accoglienza”

di ENNIO SIMEONE – Se eventi successivi di segno contrario non ci smentiranno, si può affermare che sta avendo un esito importante l’operazione condotta dal governo Gentiloni, protagonista il ministro dell’Interno Marco Minniti, per dare una svolta  al problema dei flussi migratori dal continente africano verso l’Italia attraverso il canale della Libia e assumerne il controllo e la regolamentazione.

Anzi si può dire di più, pur rischiando le rituali accuse di “insensibilità” o di “cinismo” da parte delle vestali “umanitarie” d’ogni colore e cultura: si può dire, cioè, che si stanno creando – con la sospensione dell’attività di alcune ong nel Mediterraneo – le premesse per far cadere quel sipario di ipocrisia che copriva e deformava il riproporsi del più drammatico fenomeno della nostra epoca, quello della fuga di massa dalla povertà, ancor più che dalle guerre, verso la speranza di un futuro meno sventurato.

In sostanza, come era da tempo ormai sotto gli occhi di tutti, si era creato un abnorme rapporto di organica complicità (anche se nelle intenzioni non voluta, perciò non ci si spaventi del termine)  tra le cosiddette organizzazioni non governative e i trafficanti di esseri umani: costoro hanno convogliato in Libia gente disperata, e stremata da estenuanti e massacranti marce, violenze e umiliazioni, per caricarla come in una scatola di sardine su natanti malconci, intascandone i risparmi cumulati in anni di sacrifici grazie alla garanzia che dopo poche miglia di precaria navigazione ci sarebbero state navi pronte ad accoglierla e a portarla in Italia, quindi in Europa. La effettiva presenza al limite (e spesso anche all’interno) delle acque territoriali libiche di unità navali “soccorritrici” accreditava la garanzia dell’accoglienza che scafisti e mercanti di esseri umani promettevano.

E nei paesi di provenienza di queste masse di diseredati chissà se o in quale versione o in quali misure sono arrivate le notizie delle immani sciagure avvenute in questi anni nel Mediterraneo o se siano arrivati, invece, soltanto i messaggi tranquillizzanti di coloro che in qualche modo ce l’avevano fatta. E se i sopravvissuti abbiano raccontato  la verità sulla sorte che, dopo il “salvataggio”, è toccata loro: lunghe detenzioni in campi di accoglienza in attesa di identificazione, poi reclutamento e alloggio in indecenti baraccopoli da parte “caporali mafiosi” per lavori massacranti con compensi umilianti nelle campagne, infoltimento delle catene di mendicanti davanti ai supermercati, ingaggio per spaccio di droghe o per altri reati e persino per sfruttamento sessuale.

Tutto questo, dagli illuminati teorici dell’umanitarismo a buon mercato (tra i quali, purtroppo, è emersa anche la figura del Papa), è stato chiamato “salvataggio” e “accoglienza”! E chi ha osato far notare che questo sistema illudeva, ingannava e metteva a rischio i migranti (salvataggio da che cosa?!) e contemporaneamente offendeva e irritava i milioni di italiani che vivono al di sotto dei livelli di povertà per mancanza di lavoro, mentre ingrassava scafisti e organizzazioni ricettive doviziosamente finanziate, è stato additato al pubblico disprezzo, a partire da chi, per il proprio ruolo istituzionale, ha il dovere di combattere le disuguaglianze non di farsi predicatore di nobili princìpi in insanabile conflitto con la realtà.

E se i sostenitori dello slogan “aiutiamoli a casa loro”   (a destra, al centro e a sinistra dello schieramento politico) vogliono davvero far qualcosa per i paesi da cui partono i flussi migratori si impegnino almeno ad organizzare una massiccia campagna di informazione per spiegare quanto finora la nostra forma di “accoglienza” sia stata generosa negli intenti e dannosa nei risultati. Per loro e per noi.

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