OSSERVATORIO AMERICANO/ Trump e la Russia: fra politica e finanza

di DOMENICO MACERI* – “Se lui dice cose belle su di me io dico cose belle su di lui”. Ecco come Donald Trump ha caratterizzato le sue impressioni su Vladimir Putin  nel mese di ottobre dell’anno scorso, poche settimane prima dell’elezione presidenziale. Come si ricorda, Putin aveva lodato in pubblico l’allora candidato repubblicano che il tycoon aveva ovviamente gradito. I rapporti fra i due leader superficialmente vanno a gonfie vele ma, al di là delle dolci parole espresse, la situazione con la Russia è molto problematica e continua a dominare la mente di Trump. Ce lo conferma la sua recente intervista concessa al New York Times in cui il 45° presidente ha toccato il tema del Russiagate esprimendo forti rimproveri ai protagonisti dell’inchiesta e quelli che l’hanno favorita ed approvata. A cominciare da Jeff Sessions, suo procuratore generale, il quale si era ricusato dall’inchiesta per alcune dichiarazioni incomplete  sui suoi contatti con dei russi durante l’audizione della sua conferma alla commissione giudiziaria del Senato. Trump ha dichiarato che Sessions non doveva ricusarsi e se lo avesse informato di questa intenzione non gli avrebbe dato l’incarico.  Dopo il licenziamento di James Comey, direttore della Fbi, il vice procuratore generale  Rod Rosenstein ha  nominato Robert Mueller  procuratore speciale sul Russiagate. Anche qui Trump ha avuto da ridire sull’operato di Mueller accusandolo di scorrettezza per la sua amicizia con Comey.

I rapporti di Trump con la Russia però non sono iniziati con le parole dolci su Putin né con l’affaire del Russiagate. Un aspetto fondamentale riguarda il business. Il figlio Donald Jr., in un convegno  sul mercato immobiliare tenutosi a Mosca nel 2008, aveva detto che investimenti di russi nelle aziende della famiglia costituivano una forte componente e che si vedevano “molti soldi venire dalla Russia”. Questo flusso di soldi dalla Russia verso le aziende di Trump si spiega con la caduta dell’Unione sovietica e le susseguenti privatizzazioni di aziende governative. I beneficiari privati di questa situazione eventualmente cercarono di investire all’estero e trovarono in Trump un’ottima opportunità.
Questi oligarchi, secondo Michael D’Antonio, autore di un libro su Trump, investirono nel mercato immobiliare dell’allora tycoon. I legami finanziari di Trump  con investitori russi vengono anche descritti in un lungo articolo della New Republic. Craig  Unger, l’autore dell’articolo, ci dice che  l’impero economico di Trump è stato salvato da investimenti russi negli anni 90. Il tycoon aveva debiti per quattro miliardi di dollari con una settantina di banche, 780 milioni dei quali garantiti personalmente da Trump. Si sa anche dalla bocca di Trump che aveva contatti con investitori russi da un’intervista concessa alla Real Estate Weekly. Il tycoon aveva dichiarato che “quasi tutti gli oligarchi” erano con lui in una stanza quando lui si trovava a Mosca per il concorso di Miss Universe del 2013.
Se c’è amore di Trump per i russi si tratta dunque di affari, ma la politica crea un mix atipico. Nelle sue dichiarazioni il 45° presidente  ha spesso preso posizioni contraddittorie sui contatti con la Russia, a volte dicendo di non conoscere Putin ed in altri casi di conoscerlo. I legami finanziari con la Russia però sono ovvi anche se non si conoscono tutti i dettagli perché Trump si è rifiutato di rendere pubbliche le sue dichiarazioni fiscali.
Nonostante tutto, da testimonianze pubbliche al Senato di funzionari dell’intelligence americana, sappiamo che i russi hanno interferito nell’elezione americana del 2016 . Nessuna collusione è stata ancora provata fra la campagna di Trump e i russi, anche se nuove rivelazioni sono all’ordine del giorno. La più recente ovviamente è la conferma venuta delle e-mail spedite dal primogenito di Trump, Donald junior. Sotto pressione del New York Times il figlio maggiore del presidente ha chiarito che lui ed altri importanti membri della campagna del padre si riunirono alla Trump Tower nel mese di giugno dell’anno scorso con rappresentanti russi per ottenere informazioni che potessero screditare l’allora candidata democratica Hillary Clinton.
L’incontro non ha fornito il proverbiale “smoking gun”, la pistola fumante per incastrare il presidente, ma ha certamente imbarazzato la Casa Bianca nonostante i tweet di Trump per lodare il figlio come un “ragazzo fantastico” per la sua trasparenza. Sarà vero, ma la commissione giudiziaria al Senato ha già richiesto a Donald junior di presentarsi a testimoniare sui suoi incontri con l’avvocatessa russa Natalia Veselnitskaya. Lo stesso avverrà con Paul Manafort, manager della campagna di Trump fino al mese di agosto del 2016, e di Jared Kushner, genero di Trump. Le testimonianze avverranno in forma privata e non pubblica come era stato annunciato.

Nella sua intervista al New York Times Trump ha dimostrato di nuovo che non capisce veramente come funziona il governo. L’attuale inquilino alla Casa Bianca crede di essere il capo e quindi il dipartimento di giustizia e i suoi impiegati lavorano per lui. Si sbaglia, ovviamente. È vero che il presidente nomina i vertici del dipartimento di giustizia che vengono poi confermati dal Senato. Il dipartimento di giustizia però deve rispettare la legge, che si applica a tutti, anche al presidente. Nell’intervista Trump ha anche detto che l’inchiesta di Mueller è sulla Russia e che un’eventuale estensione negli affari della sua famiglia oltrepasserà la “linea rossa”. Trump non ricorderà ma “Gola Profonda” nell’investigazione del Watergate suggerì a Bob Woodward e Carl Bernstein, giornalisti del Washington Post,  di “seguire i soldi” per trovare la verità, che poi costrinse Richard Nixon a dimettersi.

Il 45° presidente e i suoi avvocati stanno però giocando in difesa ma anche all’attacco. Il New York Times ha appena rivelato piani della Casa Bianca per sabotare l’inchiesta di Mueller. Allo stesso tempo Trump si sta informando sulla possibilità che il presidente conceda l’amnistia a membri della sua famiglia e a se stesso.

*Domenico Maceri è docente di lingue all’Allan Hancock College, Santa Maria, California  (dmaceri@gmail.com)  

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