OSSERVATORIO AMERICANO/ Trump: America First o Russia First?

di DOMENICO MACERI* – “Detto semplicemente, Trump è un traditore”. Questa la conclusione di Charles Blow, liberal editorialista del New York Times, il giorno prima della conferenza stampa di Donald Trump e Vladimir Putin a Helsinki. Thomas Friedman, editorialista centrista dello stesso quotidiano, ha anche lui accusato Trump di tradimento  subito dopo la conferenza stampa. Friedman è stato colpito specialmente dalla scelta di Trump di prendere la parte di Putin invece di credere all’intelligence americana sul Russiagate.

Dopo la bufera provocata dalla sua performance a Helsinki il 45esimo presidente ha annunciato che “ha completa fiducia nell’intelligence americana” e che crede “all’interferenza russa” nelle elezioni che nel 2016 lo portarono alla Casa Bianca. Trump ha continuato però sostenendo che non “c’è stata nessuna collusione” fra la sua campagna elettorale e i russi.

Trump non è solito fare marcia indietro. Lo ha fatto con la separazione dei bambini migranti al confine col Messico quando un’altra bufera mediatica lo ha costretto ad ammettere che lui aveva infatti il potere di porre fine alle separazioni. Il danno però in ambedue i casi è già visibile.

L’accusa di tradimento però è meno chiara. I due editorialisti del New York Times nei loro articoli presentano buone ragioni per spiegare la condotta del presidente che poco si addice a un difensore del proprio paese quando si confronta con un avversario come la Russia. La definizione di tradimento ci è spiegata dalla Sezione 3 dell’Articolo III della Costituzione: “Il tradimento” consiste nell’impugnare “armi contro” gli Stati Uniti o “avere fornito” aiuto e soccorso ai nemici. Inoltre solo il Congresso ha il potere di emettere una condanna di tradimento.

La definizione di tradimento scritta dai padri fondatori non poteva immaginare i cyber attacchi dalla Russia che l’intelligence americana sostiene essere veritieri. Trump, però, dopo l’elezione e durante il suo mandato fino ad ora, non ha voluto riconoscerli. Alla conferenza stampa ha detto che si tratta di una caccia alle streghe e che crede alle asserzioni di Putin considerando la vigorosa difesa di innocenza del leader russo.

Non è la prima volta che Trump vede le cose a modo suo. Invece l’inchiesta di Robert Mueller, il procuratore speciale nominato da Rod Rosenstein, vice procuratore generale, ha già portato alla incriminazione di 32 persone fra collaboratori di Trump e cittadini russi.  Cinque di questi individui hanno già dichiarato la loro colpevolezza. L’ex manager della sua campagna elettorale di Trump, Paul Manafort, accusato di cospirazione contro gli Stati Uniti, riciclaggio di denaro e falsa testimonianza, è in carcere mentre aspetta l’inizio del suo processo.  Una interferenza russa c’è stata, anche se fino ad oggi non è stata dimostrata nessuna collusione tra la campagna di Trump e il ruolo dei russi.

Trump, però, come rilevano anche i due editorialisti del New York Times, ha fatto di tutto per bloccare l’inchiesta di Russiagate, attaccando l’intero Dipartimento di Giustizia, i cui vertici sono stati nominati proprio dal 45esimo presidente. Trump non dimostra fiducia nei propri collaboratori e subordinati. Il fatto che non riesca ad ammettere l’importanza di una eventuale interferenza russa nelle elezioni del 2016 non può che creare preoccupazione, perché il compito del presidente è comunque quello di difendere il paese. Se i russi si rendono conto di averla fatta franca nel 2016, potrebbero continuare a provarci anche nelle elezioni di midterm e in altre successive.

La strategia di Putin ha funzionato a meraviglia nell’ultima elezione presidenziale poiché ha causato confusione e messo in dubbio il sistema democratico. Il fatto che Trump non prenda sul serio il pericolo dei cyber attacchi rappresenta un problema non solo per gli Stati Uniti ma anche per altre democrazie nel resto del mondo. I comportamenti di Trump magari non coincideranno con la classificazione di tradimento, ma ci dicono che quando parla di America first le sue parole suonano vuote.

Trump ha attaccato quasi tutti i suoi avversari e a ha anche classificato paesi membri della Nato come nemici dell’America. Putin, però, è sempre stato destinatario di parole dolci da parte di Trump. Non si sa perché. L’inchiesta di Mueller, forse, potrebbe fornire una risposta. Il Congresso americano farebbe bene ad approvare una legge per proteggere il procuratore speciale affinché completi il suo lavoro.

Ma anche se Mueller troverà la proverbiale pistola fumante, punire Trump richiederà azione della legislatura per procedere all’impeachment. Fino al momento però l’establishment repubblicano ha solo alzato la voce per condannare i comportamenti e le azioni poco presidenziali di Trump. Lo ha fatto anche per la sua performance  a Helsinki continuando però a non agire per arginare i comportamenti del presidente anche quando rasentano possibili illegalità. La difesa repubblicana di Trump potrebbe sfumare dopo le elezioni di novembre. I democratici sono avanti di 10 punti (47 vs. 37 percento), secondo un sondaggio del Washington Post-Schar e potrebbero conquistare ambedue le Camere. In tal caso Trump dovrebbe preoccuparsi seriamente.

*Domenico Maceri è professore emerito all’Allan Hancock College, Santa Maria, California  (dmaceri@gmail.com).

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