OSSERVATORIO AMERICANO/ Tra Hillary e Trump la gara a chi rappresenta il male minore per gli Stati Uniti

Domenico Maceridi DOMENICO MACERI* – “Non voglio che gli americani siano costretti a votare scegliendo  il minore dei due mali”. Ecco la risposta di Bernie Sanders  a George Stephanopoulos della Abc sulla prospettiva che o Donald Trump o Hillary Clinton siano i  vincitori della nomination dei rispettivi partiti, cioè i repubblicani o i democratici. Sanders ha già dichiarato il suo supporto alla Clinton, la sua avversaria per la nomination del Partito Democratico, per bloccare le porte della Casa Bianca a Trump. Ciononostante il senatore del Vermont non ha ancora alzato bandiera bianca e continua la sua difficile battaglia per avere l’opportunità di affrontare lui Trump a novembre.

Sanders non ha tutti i torti quando dice che l’ex first lady e Trump non offrono la migliore scelta agli elettori americani. Il magnate di New York e la Clinton suscitano reazioni negative nell’elettorato, nonostante che ambedue abbiano già ricevuto milioni e milioni di voti per la rispettiva nomination.
Secondo un sondaggio dell’agenzia Gallup, Trump è visto sfavorevolmente dal 64 per cento degli americani. Un po’ meglio la Clinton ma non di molto: 55 percento. Un bell’indice di…”sgradimento” per entrambi. Nel caso di Trump altri indizi ci dicono che gli americani hanno opinioni ancor più negative: il 70 per cento delle donne è di questo parere, mentre nel caso degli elettori latinos la cifra raggiunge l’82 per cento.
Facile spiegare queste visioni negative nel caso di Trump se si ricordano il suo linguaggio volgare verso le donne e gli attacchi razzisti ai messicani. Nel caso della Clinton c’è l’incidenza di una campagna repubblicana contro di lei che dura da quasi tutta la sua carriera politica. Certo, lei ed il marito Bill hanno dato ottimi appigli per alcuni di questi attacchi. I legami di Hillary  con Wall Street, ma principalmente l’uso del suo server privato per comunicazioni destinate ad essere di trasparenza pubblica quando era segretario di Stato, hanno aggiunto legna al fuoco per alimentare i sospetti sulla sua correttezza istituzionale. In altri casi, come nella tragedia di Bengasi, si è trattato invece di pura e semplice demagogia repubblicana, come ci dimostra il fatto che, dopo avere speso milioni e milioni di dollari, la commissione parlamentare non ha trovato nessuno smoking gun.
Le visioni negative sui due candidati rispecchiano in parte il clima politico tossico creatosi in tempi recenti, caratterizzato anche dallo stallo a Washington. Persino  al livello dei partiti si nota questo negativismo. Solo il  28 per cento degli americani ha un’opinione positiva del Partito Repubblicano. Meglio, ma non di molto, il Partito Democratico (46 percento).
Con la nomination in tasca, Trump avrebbe potuto cominciare a spostarsi al centro usando un linguaggio che si allontani dai suoi feroci attacchi personali. Niente affatto. La strategia di Trump sembra continuare ad essere impostata sull’uso del fango, che gli ha permesso di sbarazzarsi di sedici avversari nelle primarie dei repubblicani. I continui attacchi contro la Clinton, cercando di legarla al marito  e ai rapporti dell’ex presidente con le donne, ci dicono in che modo Trump punta ad esaltare gli aspetti negativi della sua avversaria. L’ex first lady da parte sua ha già detto che lei continuerà la sua campagna basata su idee e non entrerà nel ring di fango preparato da Trump.
Al momento sembra che la strategia di Trump stia funzionando. I più recenti sondaggi indicano un testa a testa fra i due a livello nazionale ma anche  in Florida, Ohio e Pennsylvania,  Stati tradizionalmente in bilico e che spesso si sono rivelati decisivi per l’esito delle elezioni presidenziali. Questo miglioramento di Trump nei recenti sondaggi si deve in parte al cosiddetto “bump”, slancio, della recentissima vittoria della nomination. Era successo anche a Mitt Romney nel 2012 non appena fu dichiarato vincitore della nomination.
Con ogni probabilità la Clinton potrebbe beneficiare di un simile “bump”. Sanders però ha già ribadito che non getterà la spugna  e che continuerà la sua lotta. Alla fine però anche lui dovrà cedere e dovrà ripiegare sull’obiettivo di incoraggiare i suoi fedeli elettori a votare per Clinton. L’ex first lady sarà il male minore, ma con lei il senatore del Vermont potrà lavorare per mettere in pratica alcuni dei suoi principi, anche se non sarà lui a risiedere nella Casa Bianca.

*Domenico Maceri Docente di lingue all’Allan Hancock College, Santa Maria, California  (dmaceri@gmail.com)

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