ORA DI PUNTA/ Umiltà e buon senso cercansi

di STEFANO CLERICI – Alleanza? Mai! Roba da Prima Repubblica. Intesa? Per carità, è una brutta parola. Accordo? Dio ce ne scampi, è come l’inciucio. Va bene, chiamiamola allora contratto (alla tedesca, s’intende). Chiamiamola come vi pare, ma senza un’alleanza, un’intesa, un accordo o un contratto questo paese non riesce ad avere un governo. E Pd e Cinque Stelle, ultimi “panettieri” chiamati al “forno” da Mattarella (attraverso l’esplorazione di Fico), hanno il dovere di esserne consapevoli. Per ora, sia gli uni che gli altri si sono rifugiati nei programmi. Il reggente Maurizio Martina ha lanciato l’amo con i suoi tre irrinunciabili punti. Il capo del movimento Cinquestelle, Luigi Di Maio, ha affidato addirittura a un professorone il compito di mettere nero su bianco le convergenze tra le idee dei Cinque Stelle e quelle degli altri. Cosa ne esce fuori? Una banalissima, al limite del ridicolo, lista di buone intenzioni (di cui, come si sa, è lastricata la via dell’inferno).

Ma chi non è d’accordo sul ridurre le diseguaglianze e combattere la povertà? Chi non è d’accordo sulla necessità di investire risorse cospicue nella ricerca e nell’innovazione? Chi non è d’accordo nell’aumentare le pensioni e nel ridurre drasticamente le tasse a imprese e famiglie, combattendo con forza l’evasione? Chi non è d’accordo, insomma, a pagare meno, pagare tutti e stare tutti meglio? Sono ovviamente tutti d’accordo. Ma il problema è come e quando raggiungere questi traguardi. E di questo non c’è traccia.

La verità è che è necessario, anzi indispensabile, un parallelo bagno di umiltà. Innanzi tutto, il Pd deve tornare a essere un partito di sinistra, quantomeno di centrosinistra, raccogliendo e facendo sventolare di nuovo quelle bandiere – onestà, lotta ai privilegi, difesa dei più deboli – che, con la gestione Renzi, si è lasciato strappare di mano dai Cinque Stelle (o meglio, gliele ha consegnate senza colpo ferire). Il Pd deve riconoscere che il “Jobs Act” è stato una fabbrica di precari, che i diritti dei lavoratori sono finiti in un tritacarne per farne solo polpette avvelenate, continuando a relegarci in fondo alla classifica europea sull’occupazione. Deve riconoscere che la legge cosiddetta della “buona scuola” ha provocato più disastri che benefici. Deve rendersi conto che non si può trattare il sindacato come un “residuato bellico”. Deve riconoscere che essersi occupato più delle banche che dei risparmiatori è stato un madornale errore. In ultima sintesi: il Pd deve tornare a essere il Pd e mai più il PdR.  E deve entrare in un eventuale governo con lo spirito di un fratello maggiore, ricordandosi che sei milioni dei suoi fratelli-elettori hanno abbandonato la casa paterna (e ci sarà pure un perché, Santo Dio!). Ben sapendo, oltretutto, che quel governo potrà buttarlo giù come e quando vuole, essendo i suoi voti determinanti tanto alla Camera quanto al Senato.

I Cinque Stelle, dal canto loro, devono smaltire la sbornia elettorale e tornare coi piedi per terra. Devono fare i conti con la realtà e riconoscere che non si può avere tutto e subito. E che buona parte delle loro mirabolanti promesse elettorali non possono essere realizzate, di certo non domani. Devono riconoscere che non tutto quello che è stato fatto dai governi precedenti è da gettare nella spazzatura (penso, in primis, alle unioni civili, che per partito preso non hanno votato). Devono avere l’onestà intellettuale di ammettere che il “reddito di cittadinanza”, così come lo hanno concepito, è incompatibile con una sana gestione dei conti dello Stato, mentre un “reddito di inclusione” allargato – come sostiene il Pd – a una più vasta platea, è invece una strada percorribile. Devono riconoscere che la legge Fornero non è da strappare e bruciare, bensì da correggere e migliorare per impedire devastanti storture come quella degli “esodati”.

Riusciranno i nostri eroi a ritrovare umiltà e buon senso? Lo speriamo di cuore, ma non ne siamo affatto certi. Quello che di certo sappiamo è che questo è il solo modo per far uscire dal “forno” un buon pane, gradito e digeribile per buona parte degli italiani.

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