ORA DI PUNTA/Lo strappo istituzionale delle “consultazioni parallele” a Palazzo Chigi

FOTO - Il direttore Ennio Simeonedi ENNIO SIMEONE – Le “consultazioni parallele”? Non si erano mai viste in 70 anni di repubblica. Le ha inaugurate Matteo Renzi.  Un’altra delle sue “innovazioni”? No: uno sgarbo istituzionale. Anzi di più: una pesante scorrettezza istituzionale. Che può essere stata compiuta solo per due opposti motivi: o perché l’arroganza del costituzionalista di Pontassieve non ha limiti e quindi ha inteso dire “qui comando sempre io”, oppure perché (e sarebbe scorretto anche questo) il capo dello Stato glielo ha chiesto.

In entrambi i casi è sconcertante che il presidente del Consiglio dimissionario (peraltro non per motivi di salute ma per ovvii motivi politici dopo una pesante sconfitta elettorale su una votazione da lui provocata) convochi a Palazzo Chigi esponenti del governo, dimissionario anch’esso, per consultarli su ipotesi di soluzione della crisi ed eventuali candidature alla sua successione mentre l’unica figura cui la Costituzione – per fortuna salva dopo il referendum – affida quel compito sta svolgendo le consultazioni ufficiali con tutte le forze politiche. E che Renzi abbia voluto persino sfacciatamente esibire questo suo atto di arroganza è dimostrato da due particolari non marginali: 1. aver convocato questi incontri a Palazzo Chigi e non – come sarebbe stato invece tollerabile ed esente da critiche – nella sede del partito di cui è segretario; 2. aver dato a questi incontri carattere ufficiale attraverso dei comunicati.

E’ poco credibile che l’ipotetico consenso di Mattarella si sia spinto a tanto. Perciò è legittimo attendersi dal presidente della Repubblica – sia a tutela della Costituzione che la maggioranza degli italiani ha voluto preservare, sia a tutela del suo ruolo di garante e di arbitro – un gesto chiarificatore su queste inedite “consultazioni parallele” o una sconfessione di fatto, che ristabilisca il rispetto dei ruoli e delle regole.

Ma una reazione, di forza almeno pari alla gravità di questo strappo sia alle regole sia ai ruoli istituzionali, è legittimo attendersela anche dall’interno del Pd. Il silenzio sarebbe avvilente oltre che deplorevole, anche nel caso che lo strappo fosse avvenuto con il consenso del Quirinale.

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