La probabilità che Romano Prodi abbia avuto una buona intuizione

di SERGIO SIMEONE* – Dopo il successo del centrosinistra alle elezioni amministrative si pone, per i vincitori, il problema di costruire un fronte ampio di forze politiche che sia in grado di battersi con possibilità di vittoria contro la coalizione di centrodestra alle prossime elezioni politiche. Si tratta, per Enrico Letta, di un compito non facile. Il segretario del Pd parla di uno schieramento  che vada da Conte a Calenda, ma deve fare i conti con le incompatibilità espressamente dichiarate proprio dai due leader. Riuscirà Letta a trovare una formula che permetta di coalizzare tutte quelle forze che non si rassegnano a vedere cadere il Paese in mano ai “sovranisti”?

C’è poi il problema di una destra che, secondo i sondaggi, mettendo insieme i consensi di cui sono accreditati i tre partiti di quest’area, godrebbe di una maggioranza che sfiora il 50%. Questa presunta maggioranza, però, non si presenta oggi come un monolite: FdI è all’opposizione del governo Draghi, FI è nella maggioranza di governo ed è leale con Draghi,  la Lega invece fa formalmente parte della maggioranza, ma porta avanti un’azione irritante di disturbo. Anche in Europa la loro collocazione è diversa : la Meloni è presidente del partito dei conservatori, Berlusconi è nel Partito Popolare Europeo, mentre Salvini flirta con Orban e la Le Pen.

E’ alla luce di questa immagine poco coesa che la destra dà di se stessa che Romano Prodi ha formulato tempo fa la proposta al Pd di puntare  ad una “maggioranza Ursula”, una maggioranza, cioè, formata da tutti quei partiti che diedero voto favorevole alla elezione di Ursula von der Leyen alla presidenza della Commissione europea. Compresa Forza Italia, che verrebbe così staccata dai due partiti sovranisti. L’europeismo diverrebbe così il discrimine tra i due schieramenti.

Ma è percorribile una simile ipotesi? A giudicare dagli ultimi accadimenti si direbbe di no. Un’occasione per distinguersi dai partiti sovranisti si è offerta sabato con la manifestazione antifascista indetta dai sindacati confederali in risposta all’aggressione fascista contro la sede nazionale della Cgil, ma nessun esponente di Forza Italia ha ritenuto opportuno andare a piazza San Giovanni, fatta eccezione per Elio Vito, che però era presente a titolo personale.

Pochi giorni dopo Berlusconi, incontrando Matteo Salvini e Giorgia Meloni per fare il punto sull’esito dei ballottaggi, si è preoccupato di rinsaldare l’unità dei i tre partiti della destra. Ed infine, dovendosi sostituire Occhiuto, eletto presidente della Regione Calabria, come capogruppo di Forza Italia alla Camera dei deputati, ha fatto pesare la sua autorità per far eleggere il filoleghista Paolo Barelli.

C’è però da dire che in FI ci sono anche esponenti sinceramente liberali che sono insofferenti per l‘egemonia esercitata nel centro destra dai partiti sovranisti: Mara Carfagna, Mariastella Gelmini e Renato Brunetta. Che sono anche  i ministri  di Forza Italia che Draghi ha voluto inserire nel governo, non tenendo conto delle indicazioni di Berlusconi. C’è da pensare che il “tecnico” ex presidente della BCE abbia voluto fare una operazione eminentemente politica inserendo un cuneo nella formazione di Berlusconi. In questo momento la forza dei tre ministri  non è tale da poter competere con quella di chi è, più che il presidente, il padrone del  partito. Ma con il tempo, e soprattutto superata la boa dell’elezione del Presidente della Repubblica, la mossa di Draghi potrebbe rivelarsi un buon investimento in sintonia con l’indicazione di Prodi.

 

Sergio Simeone

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