Il governo Conte ha ottenuto la fiducia anche in Senato (156 sì contro 140 no) con alcuni significativi apprezzamenti. L’attacco di Renzi si è dovuto limitare all’astensione dal voto per non perdere altri pezzi di “Italia viva”

Il presidente del Conslglio Giuseppe Conte lascia Palazzo Madama dopo il voto di fiducia al Senato (foto Ansa di Giuseppe Lami)

di ENNIO SIMEONE – Il governo  Conte ha ottenuto stasera la fiducia in Senato dopo averla ottenuta ieri alla Camera, anche se a Palazzo Madama, a differenza di quanto era accaduto ieri a Montecitorio, non ha potuto contare sulla maggioranza assoluta di 161 voti, avendone incassati 156 contro 140 no.  Si è chiusa così la partita contro l’attacco che gli era stato mosso da Matteo Renzi. Il quale aveva messo in atto quell’azione che il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, aveva, con lungimiranza (o preveggenza), deplorato nel discorso di fine anno pronunciando l’allusiva deplorazione, sia pur in forma anonima, di chi della pandemia si apprestava ad approfittare per meschini vantaggi.

Ed è esattamente ciò che, invece, Matteo Renzi ha tentato di fare, cioè provocare, con un pretesto incomprensibile, una crisi di governo che sarebbe stata devastante perché ne avrebbe bloccato l’azione nella fase di avvio della campagna di vaccinazione anti-covid, alla vigilia della integrazione di bilancio per l’erogazione dei nuovi ristori alle categorie economiche danneggiate dall’epidemia, e nella fase di avvio operativo del piano di spesa del Recovery plan erogato dall’Unione Europea per una cifra di oltre 200 miliardi di euro, frutto del rinnovato prestigio dell’Italia nell’UE grazie proprio all’opera svolta da Giuseppe Conte.

Ora “l’Italia non ha un minuto da perdere. Subito al lavoro per superare l’emergenza sanitaria e la crisi economica. Priorità a piano vaccini, Recovery Plan e dl ristori“,  ha scritto il presidente  Conte in un tweet a commento del risultato.

E’ significativo che a sostegno del governo Conte si siano pronunciate oggi nelle dichiarazioni di voto in Senato  personalità del livello di Mario Monti, di Liliana Segre, Pier Ferdinando Casini, Riccardo Nencini  (cioè l’ex segretario del Psi, che aveva prestato il simbolo del Psi a Matteo Renzi per poter costituire in Senato il gruppo di Italia viva, cosa che non gli sarebbe stata possibile poiché a Palazzo Madama un nuovo gruppo non può formarsi se non ha partecipato alle elezioni e invece i senatori unitisi a lui dopo le elezioni del 2018 erano stati eletti nel Pd e si erano successivamente uniti a lui dopo la scissione). Ma hanno votato la fiducia al governo anche il giornalista Tommaso Cerno, eletto nel Pd e passato poi a Italia Viva (che si è staccato da Renzi prima ancora che questi scatenasse gli attacchi a Conte), i due senatori di Fi Causin e Rossi, nonché  la senatrice Sandra Lonardo (moglie del sindaco di Benevento, Clemente Mastella).

Al momento del voto Renzi e i “suoi” senatori  si sono astenuti dal voto… in segno di “disponibilità” (seppure limitata nel tempo) a discutere ancora con la maggioranza, ma sia il segretario del Pd, Nicola Zingaretti, sia il capo del M5s, Vito Crimi, sia gli esponenti di Liberi e Uguali avevano definito Renzi ormai “inaffidabile”. Ecco perché lui ha scelto la linea dell’astensione dal voto, attuata da tutto il gruppo, nel quale stava maturando una reazione di alcuni che avrebbero potuto spingersi alla dissociazione e alla convergenza sulla fiducia al governo Conte. A comunicare tale scelta è stata designata la ministra dimissionaria dell’Agricoltura Teresa Bellanova.

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