E’ morta in Spagna Lucia Bosè: dopo la vittoria a 16 anni del titolo di Miss Italia, una lunga serie di film con quasi tutti i più famosi registi

La notizia l’ha data il figlio Miguel su Twitter: «Cari amici vi comunico che mia madre Lucia Bosè è appena venuta a mancare”.  La grande, bellissima diva del cinema, la musa di Luchino Visconti, aveva 89 anni. Lucia Bosè (all’anagrafe Borloni) nasce a Milano nel 1931, a guerra appena finita lavora in una pasticceria ma sente il richiamo della celebrità come le tante belle ragazze che la fine della guerra restituisce alla vita. Così, appena sedicenne, prende il pullman per Stresa e si lancia nell’avventura di Miss Italia 1947. Ne uscirà con la fascia tricolore della vincitrice e certamente non saranno solo il suo vitino di vespa e le ben tornite misure di seno e fianchi a fare la differenza. C’ entra un sorriso timido e contagioso, una volontà di ferro, un profumo di quotidiano che, nella valutazione dei giudici, relega Gina Lollobrigida al terzo posto e la fa primeggiare. Passano appena tre anni e per lei si schiudono le porte di Cinecittà. Nel solo 1950 le offrono parti da protagonista il maestro indiscusso del cinema popolare neorealista, Giuseppe De Santis (Non c’e’ pace tra gli ulivi) e l’astro nascente al debutto Michelangelo Antonioni (Cronaca di un amore). Vale la pena di soffermarsi sui due personaggi che interpreta – la timida pastorella ciociara e l’infelice alto borghese Paola – per capire le potenzialità naturali dell’attrice: sa adattarsi istintivamente a contesti e partner diversi, a stili di cinema quasi opposti e non perde mai in naturalezza e bellezza.

L’Italia dei set di allora sta laureando una dopo l’altra le miss rivelate dal cinema: oltre alla Lollo, è la stagione delle maggiorate: Pampanini, Loren, Mangano, Allasio. E su Lucia Bosè fioriscono pettegolezzi e flirt più o meno inventati: ”Erano storie inventate – ha detto una volta smentendo tutto o quasi -. A volte si trattava di piccoli flirt che finivano sul nascere, ma i giornalisti ci ricamavano sopra. Poi arrivavano i paparazzi e creavano situazioni ambigue per vendere le foto”. Lei tira dritto e pensa alla vocazione da star del cinema d’autore: nel ’51 è di nuovo agli ordini di De Santis (Roma ore 11), poi di nuovo con Antonioni (La signora senza camelie) che per la prima volta le regala l’alone di mistero insondabile, di ritrosia elegante, di malinconia distante, che saranno la sua cifra espressiva più marcata.

A dire il vero Lucia Bosè lavora instancabilmente e con molti registi in quei primi anni ’50: Luciano Emmer la promuove fra le Ragazze di Piazza di Spagna (1952), Mario Soldati ne scopre la vocazione per la commedia al fianco di Walter Chiari (E’ l’amor che mi rovina, con sceneggiatura di Monicelli e Steno) Giorgio Simonelli la porta nel mondo del neorealismo rosa (Accadde al commissariato). Ma nel 1955 la sua carriera prende un altro passo, più europeo e intellettuale: dopo aver ritrovato una matrice antonioniana nel bellissimo Gli sbandati di Francesco Maselli, Lucia Bosè sbarca in Spagna (Gli egoisti, di Bardem) e poi in Francia (Gli amanti senza domani di Luis Bunuel appena tornato dal Messico).

Per la piccola commessa milanese si schiudono le porte di un mondo più grande: ”Ci conoscemmo a Madrid durante una cena in casa di amici – così Bosè ha rievocato il suo primo incontro col mitico torero Dominguin (foto a sinistra) che diviene suo marito l’anno dopo, nel ’56-. Io stavo girando un film. C’innamorammo e venni con lui in Spagna. Il resto lo sanno tutti”. La storia d’amore fece infatti il giro del mondo, scatenò passioni degne delle teste coronate, fece la felicità dei rotocalchi e finì malissimo. A Lucia rimasero molti amici conosciuti in questa folle gimkana amorosa (primo fra tutti Pablo Picasso che alle corride non mancava mai) e tre figli, a cominciare da Miguel, astro del cinema e della canzone che ancor oggi definisce come ”il mio migliore amico”.

Autentico padre padrone, Dominguin la obbliga a lasciare i set e a ritirarsi-. Tornerà, una volta riconquistata la libertà a caro prezzo, nel 1968 grazie alla testardaggine del più intellettuale dei registi catalani, Pedro Portabella (Nocturno 29) e poi in Italia coi fratelli Taviani (“Sotto il segno dello scorpione“, 1969). E’ cambiata la donna, è mutata l’attrice: Fellini ne fa un’icona solitaria in Satyricon, Bolognini la elegge a sua musa in ben tre film, da Metello al televisivo La certosa di Parma. La cercano Nelo Risi (La colonna infame), Liliana Cavani (L’ospite), Giulio Questi (Arcana) ma anche Marguerite Duras, Jeanne Moreau, Beni Montresor. E’ ormai a tutti gli effetti una gran dama del cinema europeo e forse per questo, dopo Cronaca di una morte annunciata (’87) e qualche altra apparizione, decide per la seconda volta di lasciare la scena.

Tutte le sue energie sono concentrate su un nuovo sogno, una passione: ha acquistato un vecchio mulino, vicino a Segovia, e ne ha fatto Il museo degli angeli dedicato all’arte contemporanea. “Insieme ai miei tre figli – dice – è la cosa più bella che sono stata capace di fare nella mia vita”.

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