Crisi di governo: Conte presenta le dimissioni a Mattarella dopo averne spiegato i motivi in Senato denunciando le manovre di Salvini. Che cerca di salvare la faccia ritirando la mozione di sfiducia

di ROMANO LUSI Quella di oggi è stata la giornata di Giuseppe Conte. Si è presentato davanti al Senato per porre fine – con eleganza, ma con grande fermezza – agli squallidi giochi messi in atto dal suo vice, Matteo Salvini, e ai suoi tentativi di addossare a lui e ai Cinquestelle la responsabilità di una crisi di governo che lui ha provocato, con l’annuncio della presentazione di una mozione di sfiducia al governo di cui ancora faceva parte e la richiesta urgente di tornare alle urne, ma senza avvertire l’elementare dovere di dimettersi lui stesso e di far dimettere i ministri della Lega. Anzi alla fine della seduta del Senato, aggiungendo una nota patetica alla ridicola prestazione politico-balneare di questi giorni sulle spiagge di mezza Italia, ha addirittura annunciato il ritiro di quella mozione allo scopo, secondo lui, di scaricare sul M5s la responsabilità della crisi da lui provocata asserendo che i «no» imputati agli ex alleati dipendevano da un «inciucio» avviato con il Pd. 

Ciò ha autorizzato il presidente Conte a constatare che il capo leghista non ha avuto più nemmeno il coraggio di assumersi la paternità della crisi e quindi ad affermare che sarebbe stato lui ad assumersi il compito di presentare al presidente Mattarella le dimissioni del governo, prendendo atto del tradimento di quel contratto di governo su cui era nato 14 mesi fa. 

E così è stato. E un’ora dopo la conclusione della seduta in Senato, Mattarella, dopo aver ricevuto Conte al Quirinale, ha comunicato il calendario delle consultazioni per la formazione del nuovo governo, che si svolgeranno a partire da domani (mercoledì) pomeriggio. 

Nel suo discorso, durato un’ora, e nella replica agli interventi di tutti i gruppi, Giuseppe Conte ha tracciato un bilancio del lavoro svolto dal governo «giallo-verde» nei 14 mesi di attività, ringraziando tutti i ministri e i sottosegretari dell’impegno profuso nella attuazione delle misure indicate nel «contratto di governo», ma con durezza ha anche elencato gli sgarbi istituzionali commessi da Salvini fino alla decisione, maturata dopo il successo conseguito nelle elezioni europee, di sfiduciare il governo per provocare immediate nuove elezioni allo scopo di mettere a profitto quel vantaggio elettorale conseguito il 26 maggio, per “interessi personali e di partito”.

 “I comportamenti del ministro dell’Interno – ha detto – rivelano scarsa sensibilità istituzionale e una grave carenza di cultura costituzionale”. E rivolgendosi direttamente a lui: «Hai macchiato 14 mesi di attività mettendo in dubbio anche quanto fatto dai tuoi ministri”. Poi arriva a dirsi “preoccupato” da chi “invoca piazze e pieni poteri”. E lo accusa esplicitamente di non aver voluto riferire in parlamento sui presunti o richiesti finanziamenti russi alla Lega. E infine gli rimprovera il ricorso che Salvini fa, con frequenza sempre maggiore, all’uso incosciente di simboli religiosi.

La replica di Salvini è imbarazzata e imbarazzante. Prima dice «grazie e finalmente: rifarei tutto quello che ho fatto»; ma, dieci minuti dopo aver finito di parlare, fa sapere di aver ritirato la mozione di sfiducia al governo. Una decisione preceduta dai soliti slogan propagandistici di infimo livello: «Non ho paura del giudizio degli italiani», «Sono qua con la grande forza di essere un uomo libero», «Chi ha paura del giudizio del popolo italiano non è una donna o un uomo libero».  «Se qualcuno da settimane, se non da mesi, pensava a un cambio di alleanza, molliamo quei rompipalle della Lega e ingoiamo il Pd, non aveva che da dirlo. Noi non abbiamo paura», e così via declamando.

Nel dibattito, protrattosi per oltre 3 ore, gli oratori delle opposizioni, prendendo atto con soddisfazione (come è ovvio) della fine del governo “giallo-verde”, hanno apprezzato lo stile e il tono del presidente Conte, dandogli atto del rispetto dimostrato al parlamento portando in Senato, alla luce del sole, il dibattito sulla crisi, dandone conto apertamente (qualcuno ha solo obiettato che avrebbe potuto e dovuto farlo prima)  e sottraendolo ai riti delle trattative di palazzo.

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