BUONI, CATTIVI, BUONISMO E FENOMENO MIGRATORIO

ORA di puntadi ENNIO SIMEONE/

Solo chi è accecato (ben comprensibilmente) dalla rabbia e dal dolore per aver visto uccidere con ferocia un suo caro o un suo amico, o, all’opposto, chi è ciecamente prevenuto nei confronti dell’«altro», del diverso, e quindi dell’immigrato o del rifugiato, può non capire che è assurdo stabilire una differenza tra “buoni” e  “cattivi” in base al colore della pelle o alla nazionalità o alla provenienza. Ce lo dicono le cronache di questi anni, ce lo confermano le cronache di queste ultime ore: a Napoli un immigrato ucraino si lancia generosamente, a mani nude, contro i rapinatori armati che assaltano un supermercato dove è andato a fare la spesa con la figlioletta di due anni, e ci rimette la vita; in provincia di Catania un immigrato dalla Costa d’Avorio esce dal campo profughi e (come sembra, ancora non definitivamente,  accertato) va a compiere una rapina nella quale due coniugi vengono barbaramente assassinati.

Entrambi immigrati: uno eroe della legalità, l’altro violentatore della legalità. Non è il modo come sono arrivati in Italia a fare la differenza. D’altronde sappiamo che la criminalità di casa nostra non ha nulla da imparare da quella degli altri paesi.

Ciò tuttavia non autorizza a sottovalutare, come invece fanno in molti anche in Italia, governo in testa, la portata epocale del fenomeno migratorio in atto, non solo dall’Africa ma anche dai paesi del Medio Oriente, come la Siria o l’Iraq, verso l’Europa. E’ un fenomeno che non si può affrontare con il mellifluo buonismo dell’accoglienza e con l’indignazione contro chi ne denuncia l’inconsistenza e la pericolosità se non sono soppiantati da una strategia che serva ad arginare e ad incanalare la travolgente mutazione demografica che sta avvenendo sotto i nostri occhi.

Al cospetto di tale fenomeno irritano e appaiono persino ridicoli i contrasti tra i paesi europei, e tra i vari territori al loro interno, per la divisione in “quote” di poche migliaia di persone da distribuirsi, mentre centinaia di migliaia di altre ne arrivano via terra e via mare o sono in attesa di ammassarsi sui barconi o sulle vie impervie dei Balcani per raggiungere i confini di una terra mai promessa.

Dopo l’accoglienza che cosa si fa? Come daremo da vivere a queste masse di disperati che affluiscono con un volume e un ritmo crescenti e senza precedenti? E come vi sopravviveremo noi e, soprattutto, come vi sopravviveranno i nostri figli e i nostri nipoti? O vogliamo che i nostri paesi vadano incontro a una sorte simile a quella dei barconi che, stracarichi, affondano nel Mediterraneo? Sono domande alle quali neanche il Papa contribuisce a dare risposte illuminanti. Ma i governi hanno il dovere di farlo. E con urgenza.

3 Commenti

  1. Già. Ma non c’è il rischio che tanta disponibilità all’accoglienza faccia moltiplicare le richieste di asilo e poi la Germania scarica sughi altri paesi europei più esposti (come l’Italia)?
    ANTONIETTA M.

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