Altro che apertura! Renzi alla Direzione del Pd: “O così o sfiduciatemi”

di Luca Della Monica/

Altro che “aperture”! Il lupo del Nazareno non perde nemmeno il pelo. E, nonostante le contestazioni che lo attendevano al suo ingresso nella sede del Pd al ritorno dal G7, sfodera la solita arroganza alla riunione della Direzione del partito iniziata a serata inoltrata, affermando che, se volesse, farebbe approvare così com’è la riforma della scuola, anche a costo di spaccare il Pd. E lo fa con la solita tecnica: una relazione-fiume di quasi due ore in modo da lasciare poco spazio al dibattito. Dopo aver disprezzato “la ragioneria dei numeri” per tentare di negare l’emorragia di voti che il Pd ha subìto nelle ultime elezioni regionali, si è attribuita  quella che definisce “una missione storica”: rimanere a Palazzo Chigi fino al 2018 “per fare riforme strutturali” e sfidare le “tre opposizioni”, cioè la Lega, Beppe Grillo e, soprattutto, “la sinistra di Landini “, che bolla come “pura demagogia, destinata alla sconfitta”. Infine una un po’ vile stoccata a Enrico Letta:  “Io sono qui perché chi guidava prima il governo sosteneva un orizzonte di legislatura di due anni. Se avessimo insistito con quel percorso non so se al G7 ci sarebbe stato uno del Pd”. Renzi sa benissimo che Napolitano aveva imposto a Letta quel mandato, ma fa finta di dimenticarsene.  E conclude: “Chi vuole bloccare le riforme mi tolga la fiducia qui e in Parlamento”, una sfida accompagnata da una minaccia: basta “diktat” da parte di chiunque: “dalla maggioranza, dalla minoranza e men che meno dalla minoranza della minoranza”; e a tale scopo annuncia l’istituzione di  un “codice di condotta” interno.

E’ seguito nella notte il dibattito (conclusosi senza votazione sulla relazione), con scarse possibilità di incrinare il conformismo dei fedelissimi (tra i quali il capofila è diventato il vicepresidente della Camera, Giachetti il digiunatore. Gianni Cuperlo, comunque, gli ha replicato – con il consueto stile elegante ma inadatto a scalfire la sicumera dello sfacciato rottamatore – che tra il suo racconto e le urne (che “hanno detto che quella strategia non regge l’urto”, perdendo voti a sinistra e non sfondando a destra) esiste un solco profondo. E ha detto che è motivo di allarme che Renzi indichi come nemico n. 1 la “coalizione sociale” di Landini.

Più esplicito  Stefano Fassina: “Mi aspettavo da una leadership forte maggiore capacità di guardare in faccia alla realtà ed evitare letture strumentali: non credo che possiamo dire che va tutto bene e dove non va bene che è per un problema creato dalla minoranza della minoranza”. Così come ha negato che Rosy Bindi, nel diffondere i giudici dell’Antimafia sulle candidature,  sia stata mossa dall’intento di boicottare il partito e regolare i conti. “Una parte significativa del nostro popolo non ha votato Pd per colpa di alcune scelte fatte: per esempio sulla delega lavoro abbiamo preso la posizione elettorale del Pdl, sulla scuola i poteri dei presidi sono quelli del ddl Aprea. Se assumi i punti programmatici dei tuoi avversari poi non ti lamentare se i tuoi non ti votano”.
Fondato su un dubbio penetrante l’intervento di Piero Fassino: “Io non condivido il leit-motiv che il principale problema è ricomporre l’unità del Pd. Un partito che antepone sue logiche interne a ciò che sta fuori da sé è un partito che perde consensi. Non è che qualsiasi unità sia giusta, è giusta un’unità che ci fa avanzare su un programma riformista e innovatore, non un’unità che ci frena”, come dimostra la “criticità del voto”, che è dato dall’astensionismo, sintomo di malessere e di disaffezione”.

E’ intervenuta anche Raffaella Paita, che era candidata alla presidenza della Liguria: ha attribuito la sconfitta, oltre anche ai suoi errori, al “fuoco amico”. “Abbiamo perso le elezioni – ha sostenuto –  la sera delle primarie, quando il mio avversario Sergio Cofferati, invece di riconoscere la mia vittoria e stringermi la mano ha deciso di non accettare l’esito delle primarie, ma è uscito dal Pd”. Ma c’è stato un altro che ha annunciato nella riunione l’uscita dal Pd: Andrea Ranieri. “Ho votato Pastorino – ha detto – ma non ho fatto perdere Paita. Io sto con i lavoratori, gli studenti e gli insegnanti. Io in questo partito non rappresento più nessuno”.

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