Alla “tre giorni” di Articolo1-MDP Bersani e D’Alema indicano la strategia della sinistra di governo

di LUCA DELLA MONICALa “tre giorni” sul futuro dell’Italia e della sinistra italiana, con il titolo “Fondamenta”, promossa da Articolo1-MDP (Movimento democratici e progressisti), apertasi venerdì al  Megawatt Court di Milano,  ha vissuto la sua seconda giornata di dibattito essenzialmente sugli interventi di due dei protagonisti del distacco dal Pd, Massimo D’Alema e Pier Luigi Bersani. Ma i riflettori sono stati puntati anche su personaggi del calibro di Enrico Rossi, Emma Bonino, Arturo Scotto, Giuliano Pisapia, Guglielmo Epifani e Susanna Camusso. Assente giustificato Ferruccio De Bortoli, che ha preferito evitare questa ribalta dopo le polemiche scaturite dai riferimento contenuti nel suo ultimo libro al caso Maria Elena Boschi-Banca Etruria e i “poteri (quasi) forti”.

In realtà questa è la prima uscita rilevante di coloro che si sono ritrovati in MDP dopo l’uscita dal Pd. E D’Alema coglie l’opportunità per indicare, tra i nuovi riferimenti per una sinistra moderna, la figura di papa Francesco, sostenendo che le grandi sfide di oggi non si vincono su scala nazionale ma “richiamandosi ad un modello ideale di nuovo umanesimo”, che aiuti a cambiare una globalizzazione che genera conflitto”. E perché papa Francesco? Perché dai principi di cui lui si fa portavoce arriva l’indicazione per affrontare quella sorta di terza guerra mondiale a pezzi, fatta di una molteplicità di conflitti, con la globalizzazione che ha portato sulla scena mondiale ingiustizie così profonde da mettere in discussione la stessa tenuta dei sistemi democratici, in un mondo in cui otto famiglie detengono le stesse ricchezze della metà più povera dell’umanità”. L’opposto, insomma, di chi – “con il conto alle Cayman e la società off-shore a Malta –  dal palco della Leopolda ci spiega che cos’è la sinistra moderna”. “Quella non è la sinistra, quello è il renzismo”, afferma perentorio D’Alema. “Noi siamo una piccola forza, – dice – siamo all’inizio del cammino, ma ritengo che al di là della dimensione, bisogna avere l’ambizione di guardare lontano”.

E guarda ben oltre le contingenze elettorali, tant’è che, quando gli si domanda se future alleanze possono contemplare una ripresa del rapporto con il Pd, si rifiuta di prendere in considerazione l’ipotesi, pur trincerandosi per ora solo dietro  il fatto che “non si sa neanche quale sarà la legge elettorale”. Ma fa notare che “una certa intesa fra Renzi e Berlusconi c’è sempre stata, fin da quando Renzi andò a trovare Berlusconi ad Arcore”.

Il tema è stato affrontato anche da Bersani. Che risponde questa volta senza ricorrere a metafore: una coalizione nel centrosinistra si può, e forse si deve, fare, perché occorre nel paese una “sinistra di governo”, “ma con il Pd, non con Renzi”. E non giova, ad una soluzione del genere, l’ultima proposta di legge elettorale avanzata dal Pd, il cosiddetto “rosatellum” (dal nome del capogruppo Pd alla Camera, Rosati). “Il problema non è il maggioritario o no, – precisa Bersani – ma questo è un maggioritario a geometrie variabili. Se si vuole fare sul serio, si prenda il Mattarellum, così com’era: cioè coalizione con simbolo e programma uguali in tutta Italia. Il rosatellum  si chiama trasformismo”. Dello stesso parere è anche D’Alema.

Ma Bersani va oltre il problema della legge elettorale, mettendo in primo piano il problema numero uno dell’Italia: la crescita. “In questi tre anni abbiamo raccontato che stavamo uscendo dai problemi. Questo ci costerà caro. Nell’epoca dei più bassi tassi di interesse della storia siamo riusciti ad aumentare il debito e a diminuire gli investimenti. Siamo invece dentro ai problemi. Il lavoro è diventato più indebolito e ricattabile. I servizi sono diminuiti”. “Il lavoro – prosegue – lo danno gli investimenti non gli sgravi e i bonus. Gli assi degli investimenti sono l’innovazione in campo industriale e dei servizi e un grande piano di manutenzione del Paese sul territorio”. “Le società complesse – conclude Bersani, citando Gramsci – non le governi se non crei pensiero, cultura, relazioni”.

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