TEATRO/ RIDERE CON SERIETA’/ L’avvolgente mondo di Claudio Tolcachir

di FEDERICO BETTA Al teatro Argentina di Roma è andato in scena lo spettacolo Edificio 3, scritto e diretto da Claudio Tolcachir, acclamato artista internazionale, vincitore in Italia del Premio Ubu 2017 con Emilia, creazione prodotta dallo Stabile capitolino.

In scena per la prima volta a Buons Aires nel 2008, Edificio 3 ha trovato nuova vita grazie alla traduzione di Rosaria Ruffini e a una nuova compagine di attori e attrici nel 2021, con una produzione del Piccolo Teatro di Milano e Carnezzeria con la compagnia dell’autore Timber4 in collaborazione con Aldo Miguel Grompone.

Il sottotitolo del lavoro, Storia di un intento assurdo, ci trasporta immediatamente nel gusto grottesco, comico e al contempo intimo e riflessivo del bravissimo drammaturgo. L’atto unico è ambientato infatti in un solo interno che però si spezza continuamente (come gli intenti dei personaggi) in diversi spazi che i performer occupano via via, trasformando la scena con le parole, i gesti, gli atti e le emozioni.

Per lo più, siamo all’interno di un ufficio pubblico, tra vecchi computer malandati, scaffali di libri accatastati e cassetti svuotati di senso. Tre colleghi, il comicissimo e al tempo commovente Ettore (Rosario Lisma), l’incontrollabile e tenera Monica (Valentina Picello) e la posata e fragilissima Sandra (Giorgia Senes) disperdono il lavoro quotidiano coprendo e scoprendo sé stessi, in un delicato gioco di supporti reciproci e sorprese, dove l’affetto umano depositato negli anni continua a svelare le inarginabili solitudini che i tre vivono nel proprio privato.

La modulazione dello spazio in Tolcachir è proprio la cifra del suo straniamento, di quell’assurdo che si fa concretissimo davanti ai nostri occhi quando un attore parla al pubblico trasformando l’interno dell’ufficio in un bar, o in uno studio medico o in un salotto di casa. Ed è proprio quest’ultimo che si intreccia al mondo del lavoro rivelando un interno privato, dove una coppia di giovani, Stella Piccioni e Emanuele Turetta, tenta di vivere un amore dolorosamente minato da un’impossibilità esistenziale.

La sorprendente frattura dello spazio è sostenuta e riverberata in una scrittura divertente capace di sovrapporre e accavallare i dialoghi degli attori e il senso dei loro discorsi, virando in poche battute la scintillante commedia in dramma. Il testo riprende i temi più cari dell’autore come il senso complesso dell’amicizia, il desiderio di maternità non vincolato alla famiglia tradizionale e le sfumature della sessualità, mostrandoci un’umanità fortemente unita e al tempo incrinata, nascosta dietro un rigido costume sociale, ma sempre in cerca della possibilità di uno scambio profondo.

La messa in scena pulitissima, che non nasconde nulla ma anzi esaspera i suoi meccanismi (come quando gli attori annunciano con la parola “telefono” il suono di una chiamata a cui altri rispondono), è accompagnata dal morbido disegno luci di Claudio De Pace. Immerso in delicatissime sfumature di luce calda e fredda, il mondo di Tolcachir è così capace di attraversare ogni stato d’animo, ogni sfumatura del sentire, lasciando un pubblico felice per aver riso molto e con tante possibili riflessioni sulla sempre misteriosa natura umana.

 

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