STRAGE DI PARIGI: LA MACELLERIA DELL’ISIS, IL CIRCO DELL’OCCIDENTE

Castorodi CARMINE CASTORO –

Musica, cibo e pallone. Una sala di concerti, un ristorante, uno stadio prossimo ospite degli Europei di calcio. La pace del benessere, la convivialità inerme, la Grande Distrazione. Luoghi fisici e metaforici travolti, ancora a Parigi, dall’eccidio dei fucili a pompa, dei kamikaze, da un odio neotribale ormai efferato e senza alcuna frontiera morale residuale. Rancori sopiti, fondicci della Storia che esplodono come sentine invase dal gas, lo scontro che diventa duello finale ed esemplare. E tutto questo non in spazi fisici scelti per aumentare la carica detonante dell’assalto, il numero delle vittime, la scia di sangue, l’impatto mediatico. Ma perché “significano” profondamente, perché “sono”, intrinsecamente e non solo visivamente, simbolo di un mondo e di una cultura in cui lo svago è apostasia, in cui l’indifferenza dell’opulenza è il crimine più inaccettabile rispetto a chi ha sofferto e subìto nei secoli.

L’Occidente sta pagando col sangue, la vendetta e l’orrore la stupidità generalizzata dei suoi sistemi di informazione intrattenimento e propaganda, la saturazione ebete dei suoi valori di riferimento, l’assenza di esami di coscienza a livello di responsabilità geopolitiche mondiali, la premeditazione delle sue smanie di conquista, la sottigliezza dell’indottrinamento interno di massa, la miseria della sua corruzione, della sua pochezza etica, la cecità verso la diversità, la mitologia della Sorveglianza Totale e della Sicurezza Armata. Il Virtuale generalizzato e dominante, sacrificale e telecapitalistico irrorato, imbrattato dal sangue degli innocenti, dal risveglio tipico di una resa dei conti, dalla barbarie della xenofobia più radicale. Quella che attinge dalla polveriera del disagio e dello schiacciamento di intere etnie dell’Oriente per buttarvi dentro il fiammifero del fondamentalismo e della Redenzione.

TOPSHOTS French soldiers patrol in front of the Eiffel Tower on January 8, 2015 in Paris as the capital was placed under the highest alert status a day after heavily armed gunmen shouting Islamist slogans stormed French satirical newspaper Charlie Hebdo and shot dead at least 12 people in the deadliest attack in France in four decades. A huge manhunt for two brothers suspected of massacring 12 people in an Islamist attack at a satirical French weekly zeroed in on a northern town Thursday after the discovery of one of the getaway cars. As thousands of police tightened their net, the country marked a rare national day of mourning for Wednesday's bloodbath at Charlie Hebdo magazine in Paris, the worst terrorist attack in France for half a century. AFP PHOTO / BERTRAND GUAYBERTRAND GUAY/AFP/Getty Images

Siamo spasticamente, speculativamente, spietatamente di fronte a uno Stato “accelerato, sovraeccitato e clippato, dunque decerebrato”, diceva Regis Debray ne “Lo Stato seduttore”. E’ tipico di un Reale reazionario, afferma Slavoj Zizek in “Benvenuti nel deserto del reale”, identificare un Grande Esterno, un Grande Nemico, per costipare il simbolico dentro un dualismo che serve solo a ripercuotere il non-detto osceno dell’egemonia e a far scricchiolare la possibilità di un antagonismo chiarificatore. In questa maniera, secondo il famoso filosofo sloveno, il tempo si coniuga secondo un “futuro anteriore”. E’ quello che sarebbe accaduto con l’America del dopo 11 settembre, pronta a indossare i panni di “poliziotto globale” e di “agente mediatore di pace”, senza considerarsi né un contendente, né un responsabile, né un interprete inter pares di un reale bisogno di pace: “L’America avrebbe dovuto utilizzare questa opportunità ma non l’ha fatto… La scelta tra Bush e bin Laden non è la nostra scelta: entrambi rappresentano “Loro” contro “Noi”. Un Noi che avrebbe bisogno di una “happiness” allargata, quella felicità che Obama ancora una volta ha citato nel discorso dalla Casa Bianca, venerdì sera, ad attentati francesi avvenuti, ma che necessita di una riscrittura totale dello stare insieme a livello economico planetario.

Il ventre marcio dell’ennesima stagione di Terrore Globale si squarciò fra la mattina del 7 e quella del 9 gennaio scorsi a Parigi quando una pattuglia di killer jihadisti, in ordine sparso, massacrò prima la redazione del giornale satirico Charlie Hebdo, poi un agente musulmano, un’altra poliziotta e, infine, quattro innocenti avventori di un supermarket kasher alla Porta de Vincennes nel XX, catturandone anche alcuni come ostaggi in una delicata trattativa con le forze di sicurezza finita poi in un bagno di sangue. La domenica di quella stessa luttuosa settimana un corteo infinito nella capitale francese, carico di sgomento e riprovazione, sancì una sorta di polarizzazione ideologica. Da un lato, l’Europa dei diritti e delle libertà, di stampa, di pensiero, di dissacrazione, una sorta di neoliberismo dei cuori e della tecnica, sempre al di sopra di ogni sospetto e naturalizzato come la nostra seconda inattaccabile pelle. Dall’altro, il fondamentalismo dei fanatici, la disumanità dei tagliagole, l’Estraneo che preme ai nostri confini, che attenta a un patrimonio di eguaglianza e benessere considerato il non plus ultra della Storia, quella con la maiuscola.
Contro questo manicheismo semplicista e superegoico che divide il Bene dal Male, il Progresso dall’Abominio, Franco Cardini, medievalista di fama internazionale, recentemente, nel suo “L’ipocrisia dell’Occidente”, si è opposto, scompaginando le carte, facendoci riappropriare delle febbri e delle sincopi degli ultimi decenni, e dei fondali arcaici su cui si sono stagliati nei secoli i rapporti fra i nostri paesi e il vicino Oriente.

Le cose stanno in maniera molto diversa da come ce le hanno sempre raccontate, ci ammonisce Cardini. Siamo stati sodali e partner di paesi lontanissimi come quelli asiatici e africani, oggi territori vituperati da scenari di guerra infami, molto più di quanto lo “scontro tra civiltà” alla Huntington ci voglia far credere. Strade di spezie e di cultura, di merci e di scienza, di ori e di idee su cui solo la nostra cupidigia, la nostra smania colonialista e annessionista, ora al soldo di una America a stelle e strisce che esporta democrazia col fragore delle armi e i flussi maleodoranti della finanza ipercapitalista, hanno steso un lenzuolo di morte, di servaggio, di sottomissione e violenza senza riscatto. Chi dobbiamo vedere, allora, si chiede Cardini, dietro le maschere da carnefici e i coltelli affilati dei sicari dell’ISIS? Gente che aprioristicamente, e secondo una antropologia di comodo, è dedita alle mostruosità e all’amoralità, o non piuttosto una sorta di Lumpenterrorist, di guerriglieri-proletari, che con la barbarie dei loro atti riassumono secoli di usurpazione di risorse, etnocentrismo, occupazioni indebite, plutocrazie accaparratrici, in primis in nome del petrolio, subìte a causa di noialtri figli del consumismo e della “democrazia”, cercando di trovare una vendetta, una risalita, la ripresa di una dignità di popolo? Essi sono straccioni e massacratori, esclusi e prìncipi della Morte, plancton della globalizzazione e revanscisti deliranti. Uniscono il lezzo delle banlieue e il sacro della preghiera, cielo e cartucce, onnipotenza e remissione.

Storicizzando le bandiere nere dello Stato Islamico sirioiracheno e capendo, grazie anche alle suggestive analisi etimologiche di Cardini, cosa significa ridare vita a un “Califfato” per queste genti più sventurate che conquistatrici, capiamo anche che gli Stati Uniti hanno già utilizzato cellule di Al Qaeda nella opposizione ai russi in terra d’Afghanistan, che gli uomini di Al-Baghdadi ne sono la deriva più furibonda e militarista, che gli emiri arabi li sovvenzionano nemmeno tanto sottobanco, e che il verbo sunnita, così ortodosso e integralista in chiave anti-sciita, sta mettendo in atto una “religionizzazione della politica”, un intreccio fra salvezza di tipo teologico e contrattacco agli inquinatori del prospero Ovest.

In questa forbice oscena, fra un “Bene” incaprettato e incipriato dalle plastificazioni delle egemonie filoamericane e un altro Bene sinonimo di ripresa di un Destino comune, si svolgeranno gli scenari, le sfide e le riconquiste antropologiche del nostro immediato futuro. Immediato, mai come ora, immediato e urgentissimo.

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