Se un movimento politico rischia di trasformarsi nell’opera dei pupi

di ENNIO SIMEONE – Le espulsioni dal Movimento 5 stelle – adottate da un “vertice“ che per statuto non esiste (e ideologicamente non dovrebbe esistere in una formazione politica nata e cresciuta all’insegna dello slogan “uno vale uno“) – stanno creando legittime, sia pur composte, reazioni nei destinatari del provvedimento, anzi addirittura di due provvedimenti disciplinari nel caso di parlamentari che hanno avuto anche ruoli nei due governi Conte, cioè espulsione sia dal registro degli iscritti sia dall’appartenenza ai gruppi parlamentari pentastellati della Camera e del Senato.

A farsene portavoce oggi è l’ex sottosegretario (in quota M5s) al Ministero dell’Economia e Finanza nel governo Conte 2, Alessio Villarosa, il qualeha reso noto di aver ricevuto l’avviso della procedura di espulsione anche dal Movimento oltre a quella dal gruppo parlamentare del M5s. Villarosa lamenta di essere stato escluso anche dai ringraziamenti manifestati dal Movimento a coloro che hanno fatto parte del governo Conte 1 e/o del Conte 2 e sono stati esclusi da quello presieduto da Draghi: “Escludermi da un ringraziamento, cancellando il mio lavoro e i risultati portati a termine nell’attività svolta all’interno del governo in questi anni qualifica semplicemente chi lo ha fatto. Io volo alto, come ho sempre fatto, senza polemiche: non ne ho bisogno“.

Dopo di che Villarosa, come altri suoi collegi nella sua medesima situazione, preannuncia il probabile ricorso contro il duplice provvedimento. E precisa su Facebook: «Ora mi hanno chiesto di mandare le controdeduzioni. Poi vedremo. Io mi sono astenuto sul voto a Draghi per far capire che il nostro problema era il metodo costruito per questa votazione: gli endorsement, il quesito, i metodi. Io e altri ritenevamo che si dovesse rifare la votazione, abbiamo seguito le procedure previste per chiederlo ma non abbiamo ricevuto nessuna risposta. Io mi sono astenuto e ho fatto i passi per richiedere una nuova votazione degli iscritti: non pensavo di essere espulso per questo. La cosa che mi ha lasciato di sasso è che ci hanno messo 12 ore per farlo: hanno cacciato in 12 ore uno che ha lavorato per il M5s 12 anni, di cui 8 in Parlamento, dove sono anche salito sui tetti…».

Altro caso è quello della senatrice Barbara Lezzi (che è stata anche ministro per il Sud nel primo governo Conte). Anche lei ha ricevuto la notifica della sospensione per non aver votato la fiducia al governo Draghi. E su Facebook scrive: «È arrivata la mail da parte del collegio dei probiviri, nella quale mi si comunica la sospensione dal M5S fino a quando non sarà conclusa tutta la procedura. Ho qualche giorno di tempo per presentare le mie controdeduzioni e lo farò puntualmente ripercorrendo tutte le fasi che mi hanno condotto alla scelta di votare No al governo Draghi. Conosco lo statuto in tutte le sue parti, conosco bene tutte le regole sottostanti alle diverse procedure e ho agito e agirò rispettando il tutto».

Questi provvedimenti riguardano almeno una quarantina di parlamentari M5s, alcuni dei quali vantano una militanza “storica“ (oltre che… stoica nell’adeguarsi alle mutevoli giravolte del fondatore) che risale fino a 12 anni fa, come, per citarne un altro, è il caso del senatore Nicola Morra, presidente della Commissione parlamentare antimafia. Ma anche gli altri casi, sostanzialmente analoghi, sono una lacerante offesa alla norma costituzionale che all’articolo 67 sancisce per i parlamentari l’assenza di vincolo di mandato (finché non sarà abolito con una nuova legge elettorale) e comunque una offesa al principio irrinunciabile della libertà di pensiero, che esiste nel nostro paese.

L’obiezione che viene mossa a queste elementari considerazioni (e altre ancora se ne potrebbero fare!) consiste nel fatto che l’adesione del M5s al governo Draghi è stata sottoposta al vaglio degli iscritti al M5s, con una consultazione avvenuta attraverso la votazione sulla piattaforma Rousseau. Obiezione debole, anzi debolissima, per quattro motivi:

1. A quella consultazione hanno partecipato in tutto 74mila iscritti; 2. però ben il 40 per cento di essi ha votato per il no alla fiducia al governo Draghi; 3. il quesito della consultazione era limitato ed ingannevole, poiché chiedeva ai votanti di pronunciarsi a favore di un governo con un ministero ambientalista con ampi poteri chiesto da Grillo e promesso da Draghi; 4. ma poi Draghi a quella promessa non ha tenuto fede perché nel formare il governo ha smembrato quel dicastero in tre ministeri con competenze difficilmente riconducibili alla richiesta di Grillo e affidati a persone difficilmente riconducibili agli obiettivi del M5s.

In ogni caso nessuno degli espulsi può essere accusato di…”alto tradimento”, come farebbe immaginare il provvedimento che li ha colpiti. Semmai, volendo essere coerenti, chi dovrebbe essere accompagnato alla porta del M5s sarebbe quel “capo – o ex capo – provvisorio” del Movimento, Crimi, che, insieme con la Lombardi, si esibì nella precedente legislatura in streaming nel confronto con l’allora segretario del Pd, Pierluigi Bersani, respingendo ogni proposta di alleanza con il Pd per formare un governo, e ripetendo in tv pappagallescamente: “O Cinquestelle o Cinquestelle!“. Facendo perdere 6 anni di tempo al Movimento. Ma imitati egregiamente 4 anni dopo da Matteo Renzi (allora ancora segretario del Pd) con lo slogan “Mai con i Cinqustelle!”. Salvo poi a cambiare idea tre anni dopo e a cambiarla di nuovo un anno dopo.

In un teatrino politico di questo genere i provvedimenti cosiddetti disciplinari fanno apparire coloro che li adottano soltanto delle macchiette.

PS C’è da sperare che l’impegno assunto da Giuseppe Conte nell’incontro avuto a Roma domenica 1° marzo con Grillo e con alcune figure di spicco di quel Movimento  possa contribuire a dargli una prospettiva e un ruolo del confuso panorama politico italiano.

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