Perché la corsa ad elezioni anticipate non paga: né a Londra né a Roma

di NUCCIO FAVA – Le elezioni, garanzia irrinunciabile di una vita civile rispettosa gli uni degli altri, possono sempre riservare sorprese. Se le forze politiche non sanno ascoltare e sforzarsi costantemente di comprendere le difficoltà e i problemi, allora la politica risulta inadeguata e a rischio di cocenti delusioni. E’quanto avvenuto in Gran Bretagna, dove la premier Theresa May è apparsa fin troppo insicura, ambiziosa nell’uso del potere e nell’illusione di un suo ampliamento, spacciato goffamente per senso del dovere e di servizio alla comunità.

L’azzardo del voto anticipato non ha pagato, così come paradossalmente è accaduto allo stesso modo per l’azzardo referendario ed elettoralistico affrontato dal predecessore Camerun, finito in un vero fallimento, subito riconosciuto con l’abbandono della politica, senza tatticismi e tergiversazioni.

Di sicuro hanno pesato lo sconvolgimento per i drammatici colpi del terrorismo e, al tempo stesso, la sorprendente ripresa del partito laburista, proiettato con forza verso il recupero delle tematiche economico-sociali, con attenzione verso i ceti più colpiti dalla crisi e dai profondi mutamenti indotti dalla rivoluzione tecnologica ed informatica.

La sconfitta politica della May e il caos italico del tedeschellum – pur così incomparabili – sono però frutto della stessa analoga presunzione egocentrica e leaderistica della politica in atto in molti paesi. In Gran Bretagna la premier ha ritenuto di dover forzare, sicura di rafforzarsi e diventare una nuova incarnazione della lady di ferro e di potere archiviare la Brexit come un grande  successo e una sua decisiva affermazione personale. Da qui la scelta sbagliata di indire elezioni anticipate che hanno al contrario espresso un vero e proprio nubifragio politico e un grave rischio per gli inglesi e per tutti. Non c’è stato infatti alcun trionfo. Anzi un arretramento conservatore su tutta la linea, espressione di un paese spaccato e intimorito che si è rivolto ai laburisti, mai così in crescita da anni.                                                                                                                                                            Viene inesorabilmente da riflettere anche sulla smania con cui è stata affrontata in Italia la formidabile e delicatissima questione della riforma costituzionale con la clamorosa sconfitta del presidente del Consiglio e segretario del Pd. Anche se il tracollo di Renzi non ha comportato alcuna riflessione matura, facendo paradossalmente esplodere nello sconfitto la voglia di immediata rivincita e la scorciatoia irresponsabile verso un voto anticipato che provocherebbe spaccature, criticità e rischio di non governo e di preoccupante instabilità. Infatti ancora prima che fosse messo in discussione l’accordo sulla nuova legge elettorale, risultava evidente che la mancata convergenza su definiti punti d’incontro positivi, avrebbe prima o poi provocato la fiera delle vanità, il caos parlamentare, la stanchezza e il disinteresse dei cittadini.

Il dibattito al Senato, con le schermaglie regolamentari, le incertezze nella conduzione da parte della presidenza della Camera, la strumentalità dell’approccio secondo il quale tutta la materia si sarebbe dovuta rinviare nuovamente in commissione con le schermaglie e gli attacchi reciproci, faceva saltare ogni prospettiva di mantenimento dell’accordo. Berlusconi, Renzi, 5stelle e Salvini si sono trovati senza punti di riferimento comuni, nella estrema difficoltà di trovare nuove intese, con il grande caos che si è determinato.                                                                                                                                         Le difficoltà non riguardano solo gli scontri tra Renzi e Grillo, tra i franchi tiratori presenti con differenti motivazioni e crescenti nervosismi in tutti gli schieramenti.

Del resto anche Trump ha i suoi problemi, per cui l’entusiasmo della May nel precipitarsi nella residenza del magnate americano ancora prima dell’insediamento ha rappresentato causa non piccola della disaffezione degli elettori inglesi verso i conservatori. Politicamente il disegno della premier britannica è stato un fallimento, al punto che i conservatori non hanno più la maggioranza e devono affidarsi ad alleanze precarie, con una conseguente instabilità e con il rischio addirittura di nuove elezioni a breve.

Forse però anche per i parlamentari italiani sarebbe indispensabile una riflessione meno superficiale sui sistemi elettorali. Si tratta pur sempre di istituti per organizzare la democrazia e assicurare al meglio esigenza di governabilità e rappresentanza, senza forzature e privilegi.

La lezione inglese, se vogliamo trarne una, è che nel paese con la più lunga tradizione democratica e con un sistema elettorale assolutamente maggioritario si può arrivare a non avere una maggioranza e trovarsi alle prese con problemi inediti, che necessariamente richiedono alleanze e collaborazioni.

Anche per il tedeschellum si dovrebbe fare chiarezza, senza mistificare e prendere in giro i cittadini. Forti degli insegnamenti che si possono pur ricavare dai disastri attuali, dovrebbe emergere una forte volontà di ragionevole intesa e di ricerca di punti d’incontro condivisi senza furbizie, ricatti e manovre di franchi tiratori dell’una o dell’altra parte. Anche attraverso un eloquente dibattito a porte aperte, senza dare l’impressione che tutto debba risolversi in stanze chiuse e con trattative ristrette a pochi capoccioni.

C’è da scusarsi per la lunghezza di queste note, ma i miei 25 lettori di manzoniana memoria forse comprenderanno. Raccontare la bagarre sul tedeschellum e individuare il “filo rosso” che lega anche il voto inglese con le traversie di casa nostra e i gravi problemi dell’Europa e del mondo può essere un modo per tentare di conoscere e comprendere e sentirsi meno confusi e preoccupati.

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