di SERGIO SIMEONE – Davide Casaleggio, il gestore della piattaforma Rousseau, supporto del Movimento 5 stelle , ha rotto la sua proverbiale riservatezza con una fluviale dichiarazione, resa pubblica sul blog del movimento, con la quale dichiara che, se il M5s dovesse diventare un partito, lui non gli fornirà più il suo supporto. E lo farà perché vedrebbe tradito l’impegno a praticare la democrazia diretta, uno dei postulati a base del Movimento dai suoi fondatori.
Casaleggio sa che in realtà la democrazia diretta praticata finora è pura finzione. Lo sa perché la democrazia diretta dei 5 stelle l’ha costruita lui cominciando col ridurre la platea degli iscritti aventi diritto al voto a poco più di 100.000 unità (un numero irrisorio per un movimento che alle ultime elezioni politiche ha raccolto 10 milioni di voti), grazie al fatto che le domande di iscrizione vengono vagliate da un comitato ristretto di sua fiducia che le esamina con grande lentezza e le accoglie o respinge secondo criteri insondabili ed insindacabili. Questa platea, pur così selezionata e ridotta, viene chiamata ad esprimersi con non grande frequenza su quesiti spesso formulati in maniera da suggerire la risposta, che comunque si riduce a pronunciare un sì o un no. Manca qualsiasi dialettica tra vertice e base così come manca qualsiasi dialettica orizzontale, che è fatta di confronto e scontro tra idee diverse. Al tempo stesso , a contraddire questo preteso, ma in realtà inesistente, potere del popolo, è stata creata la figura del capo politico dotato di poteri assoluti quali nessun segretario di partito possiede.
La direzione del movimento insomma si fonda su una diarchia, dove uno dei due diarchi è legittimato dal solo fatto di essere il figlio di Roberto Casaleggio.
E Grillo? Lui si è riservato il ruolo di deus ex machina, che irrompe sulla scena con le sue illuminazioni quando è necessario imprimere una svolta che viene impedita da vecchie incrostazioni ideologiche: sarebbe stato impensabile, ad esempio, senza il deciso intervento dell’elevato, dar vita alla coalizione giallo-rosa su cui si regge il governo Conte2 con il PD che fino a qualche giorno prima veniva definito con disprezzo il partito di Bibbiano.
Ad un certo punto i più avvertiti tra i grillini si sono resi conto che questo meccanismo farraginoso e sostanzialmente autoritario li stava portando al disastro (dimezzamento dei voti alle europee, risultati estremamente deludenti alle regionali) ed hanno cominciato a sentire il bisogno di dar vita ad organi collegiali a livello centrale e sui territori che diventino la vera sede della elaborazione delle linee politiche e delle decisioni. Hanno capito che la vera democrazia è fatta di confronti, scontri e sintesi che possono avvenire solo quando ci si incontra de visu e non mediante internet. La democrazia digitale, per dirla tutta, può svolgere solo un ruolo ancillare rispetto alla democrazia rappresentativa, non sostituirla.
Casaleggio si oppone a questo processo, perché comporterebbe la vanificazione del suo potere ed invoca un ritorno alle origini. Non si rende conto che uno strumento non può essere buono per tutti gli usi. La sua piattaforma è stata estremamente utile per dare forza al movimento quando era all’opposizione, è un ferro vecchio inservibile per governare. Sta combattendo una battaglia perduta.
*Sergio Simeone, docente di Storia e Filosofia è stato dirigente del sindacato Scuola della Cgil
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