OSSERVATORIO AMERICANO/ Le elezioni di midterm: Trump alla ricerca di capitale politico

di DOMENICO MACERI – “Ricordate, i repubblicani hanno vinto 5-0 nelle elezioni parlamentari di quest’anno. I media rifiutano di menzionarlo”. Donald Trump cercava con queste parole di un recente tweet di cambiare i fatti per farli quadrare con la sua visione. Ci sono state tre elezioni speciali per la Camera e il Senato oltre alle due elezioni per governatore nel 2017. Due delle corse parlamentari sono andate ai repubblicani (Montana e South Carolina, come si prevedeva). L’elezione al Senato è andata ai democratici (Alabama, vittoria a sorpresa in uno stato molto conservatore). Le elezioni per il governatore nel New Jersey e Virginia sono ambedue state vinte dai democratici. Quindi non si tratta di successo per i repubblicani ma tutto sommato i democratici possono cantare vittoria specialmente per quella in Alabama, che riduce a un seggio la maggioranza repubblicana al Senato (51-49).

Trump però spesso dice una cosa ma allo stesso tempo ne fa un’altra per correggere la sua versione fasulla dei fatti. Ecco perché la Casa Bianca sta facendo piani per una attiva partecipazione del 45esimo presidente alle elezioni di midterm del 2018 che vedranno in palio tutti i 435 seggi della Camera bassa e 34 del Senato. Una prospettiva di coltello a doppio taglio per i candidati repubblicani con benefici ma anche svantaggi creati dalla presenza di Trump nelle campagne che inizieranno con le primarie fra qualche settimana.

Ed Gillespie, il candidato repubblicano a governatore del Virginia, sconfitto dal suo avversario democratico Ralph Northam, ne sa qualcosa. Secondo Trump, Gillespie ha perso perché non si è identificato abbastanza con le politiche presidenziali. Ogni elezione ha le sue dinamiche, ma l’associazione con Trump sarà costata non poco a Gillespie perché il successo democratico si deve in buona parte all’energia anti-Trump nello Stato. Ce lo dimostrano i vincitori, o meglio le vincitrici. Undici dei quattordici seggi vinti dai democratici alla legislatura statale sono andati a donne. Il numero rosa della Camera è aumentato  a 27. Trump non era nelle schede elettorali in Virginia, ma la sua ombra è servita agli elettori democratici come stimolo per presentarsi alle urne.

Il risultato in Virginia e specialmente quello in Alabama sono stati determinati direttamente e indirettamente per l’impopolarità di Trump, che ha incoraggiato l’affluenza alle urne delle donne, gli afro-americani, specialmente le afro-americane. Roy Moore, il candidato del Gop, ci ha anche messo del suo con la sua condotta riprovevole. Nell’elezione del 2016 Trump sconfisse Hillary Clinton con un margine di 28 punti in Alabama. Gli exit poll dell’elezione speciale due settimane fa ci dicono che la popolarità di Trump in Alabama era scesa notevolmente (48 per cento favorevoli, 48 per cento contrari).

Considerando anche la diminuita popolarità di Trump a livello nazionale (32-35 per cento di consenso) sarà il residente della Casa Bianca gradito come endorsement per i candidati repubblicani all’elezione del 2018? Per alcuni sì, specialmente perché abbracciare Trump vorrà dire più soldi dato che quando il 45esimo presidente ci si mette può fare aprire le borse dei ricchi contributori. Per altri, specialmente in elezioni molto competitive, le lezioni in Virginia e Alabama inducono a riconsiderare le valutazioni.

Per Trump però non si tratta di generosità assistenziale ai candidati repubblicani ma di realpolitik. Sa benissimo che se i democratici riescono a conquistare il Senato la sua agenda legislativa avrà vita difficilissima. Lo è stata già anche con la risicata maggioranza in ambedue le Camere, specialmente al Senato. La  recente “vittoria” legislativa sulle tasse è stata possibile in Senato per il meccanismo di riconciliazione che richiede una semplice maggioranza perché tratta solo di questioni di bilancio. La maggior parte delle leggi richiede la super maggioranza di almeno 60 voti.

Trump però è entusiasta di ritornare a fare campagna elettorale. Per lui è divertente fare i suoi comizi dove si trova circondato da suoi fedelissimi e creando spettacolo. Questi incontri lo caricano. Allo stesso tempo però, quando lui fa campagna, può facilmente andare fuori delle righe e divenire uno svantaggio per i suoi assistiti.

L’eventuale partecipazione di Trump come sostenitore di candidati repubblicani farà probabilmente piacere ai democratici, i quali non vorrebbero altro che fare di tutte le elezioni un referendum sull’attuale residente della Casa Bianca. I democratici ricaricano le loro batterie vedendo nell’opposizione  a Trump  la colla per il tipo di coalizione di donne e gruppi minoritari necessaria per vincere come è avvenuto in Alabama.
Quando un partito vince un’elezione e incomincia a governare deve cercare di mantenere le promesse spendendo il suo capitale politico acquisito con la vittoria alle urne. Trump ha vinto la presidenza grazie a risicate maggioranze in alcuni Stati, perdendo però il voto popolare di quasi tre milioni di voti. Il capitale politico di Trump sta svanendo come ci dimostra il suo indice di consenso, che si trova ai minimi storici. La recente approvazione dei tagli alle imposte, i cui benefici andranno quasi esclusivamente alle corporation e ai benestanti, fa parte di questa spesa di capitale politico.

Conquistare altro capitale politico per i repubblicani vuol dire successi alle elezioni di midterm del 2018. Ma al momento Trump e il suo partito hanno poco da essere ottimisti. La recentissima turbolenta riunione di strategia politica alla Casa Bianca, riportata dal Washington Post, ce lo conferma. I democratici si trovano in una posizione migliore ma il loro successo non dovrà dipendere solo dalla prestazione negativa dei loro avversari. Dovranno anche creare entusiasmo con i propri programmi, senza sperare di conseguire delle vittorie grazie agli errori di Trump.

*Domenico Maceri è docente di lingue all’Allan Hancock College, Santa Maria, California  (dmaceri@gmail.com)

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