OSSERVATORIO AMERICANO/ La sparatoria di El Paso e il linguaggio di Trump fra parole e violenza

di DOMENICO MACERI* – La retorica divisiva del presidente Donald Trump è “direttamente responsabile” di episodi come la sparatoria a El Paso. Questo collegamento  è stato fatta da Alexandria Ocasio-Cortez, la parlamentare liberal di New York, durante una veglia funebre tenutasi a Brooklyn per le vittime di El Paso (Texas) e di Dayton (Ohio). Corey Booker, senatore del New Jersey e candidato alla nomination democratica, ha fatto eco alle parole di Ocasio-Cortez, addossando anche lui la colpa a Trump poiché alimenta la paura e l’odio, invece di condannare la supremazia bianca. Julian Castro, però, ex sindaco di San Antonio e membro del cabinet dell’amministrazione di Barack Obama, ha detto che “l’unico direttamente responsabile” in questi sanguinosi episodi è l’individuo che ha sparato.

Castro ha formalmente ragione, ma il linguaggio incendiario di Trump si collega indirettamente (ma probabilmente anche direttamente) alle recenti stragi. Le informazioni finora venute a galla spiegherebbero la motivazione dell’individuo responsabile per la morte di 22 persone, additando a una matrice suprematista. Poche ora prima della tragedia, il killer avrebbe postato un manifesto in cui riprende il linguaggio anti-immigranti di Trump. Il manifesto, postato nello stesso sito di ultra destra usato dal killer responsabile per la morte di 50 musulmani in Nuova Zelanda, reitera “l’invasione” degli immigrati. Ci dice anche che lui si sente attaccato da questi stranieri e quindi vuole “difendere il suo Paese”. Accusa gli immigrati di volere rimpiazzare la razza bianca, idea anche caldeggiata dai suprematisti bianchi nelle vicende di Charlottesville del 2017 e parecchie altre stragi in cui giovani bianchi sono stati responsabili di sparatorie, causando la morte di decine di persone, in genere membri di gruppi minoritari.

Il manifesto non si collega direttamente a Trump ma la affinità con il linguaggio incendiario e pericoloso usato dall’inquilino della Casa Bianca deve essere valutata. Trump ha fatto uso di attacchi agli immigrati dall’inizio della sua campagna, avendola iniziata accusando i messicani di essere stupratori. In uno dei suoi tanti comizi il candidato Trump ha incoraggiato i suoi sostenitori a “prendere a botte” alcuni manifestanti, offrendo di pagare loro le eventuali spese legali. Un linguaggio retorico continuato nella sua presidenza come ci dimostra il più recente discorso a Panama City, in Florida. Parlando della situazione al confine col Messico, Trump si è riferito ai migranti dicendo che non “li lasceremo entrare”. Non si useranno armi da fuoco per fermarli anche se altri Paesi lo fanno, ha continuato il 45esimo presidente. “Come si fermano dunque?” ha domandato Trump al suo pubblico. La risposta immediata da alcuni sostenitori è stata di “sparargli”.

Sarà coincidenza ma è proprio quello che ha fatto il killer della strage di El Paso. La scelta della città al confine col Messico non è stata casuale poiché l’80 per cento della popolazione è formata da latinos, la maggior parte di origine messicana. Inoltre, 8 delle vittime della tragedia erano infatti cittadini messicani che avevano attraversato la frontiera per fare shopping a Walmart.

Trump ha condannato, anche se debolmente, la strage di El Paso e anche quella di Dayton, leggendo dal teleprompter che la “nostra nazione condanna il razzismo e la supremazia bianca”. Al di là del suo sbaglio geografico (ha detto che la strage era avvenuta a Toledo anziché a Dayton), le parole del 45esimo presidente odoravano di falsità e incoerenza. Trump ha cercato di addossare la colpa delle stragi ai videogiochi e all’accesso alle armi  anche per i malati di mente. In ciò reitera il linguaggio della National Rifle Association (NRA) secondo cui le armi da fuoco non sono pericolose in sé ma i veri colpevoli sono coloro che premono il grilletto.

I videogiochi e i malati di mente esistono anche in molti altri Paesi, dove però non avvengono con tanta frequenza stragi che in America sono divenute routine. La spiegazione dunque risiede anche nella disponibilità di armi da fuoco. Quando il linguaggio politico che demonizza alcuni gruppi etnici o razziali si fonde con il facile accesso ai fucili di assalto, si crea un clima letale.

Trump però non è completamente responsabile per queste stragi, nemmeno quelle che si collegano almeno indirettamente alla sua retorica politica. Non ha nemmeno lui inventato l’idea degli immigrati come invasori che distruggono l’America. Patrick Buchanan, candidato presidenziale nel 1992 e 1996, ne aveva già parlato usando infatti la stessa espressione di “invasione illegale”. Trump l’ha definitivamente adottata e ampliata nella campagna elettorale e continuata durante la presidenza. In ciò lui ha ricevuto notevole sostegno dai media di destra, in particolar modo dalla Fox News. Già nel 2014, prima che Trump annunciasse la sua corsa alla presidenza, parecchi conduttori della rete di Rupert Murdoch, parlavano di immigrazione come “invasione”. Rush Limbaugh, il noto conduttore radiofonico conservatore, ha anche lui amplificato gli aspetti negativi degli immigrati, dicendo che si tratta di “un’invasione” che alla fine farà perdere l’identità all’America (vedi identità bianca). Ann Coulter, una delle star di Fox News, ha detto in un’occasione che bisognava “sparare a questi invasori”.

Un’analisi del New York Times su questo linguaggio anti-immigranti promosso dai media di destra ha rilevato più di centinaia di esempi che si sovrappongono alle parole del manifesto del killer di El Paso. Trump ripete questo linguaggio e i media di destra lo riecheggiano, ottenendo un effetto cumulativo che non spiega fini in fondo queste stragi. Di certo però le alimenta, colorandole anche di legittimità con le parole incendiarie attualmente in auge nel linguaggio della Casa Bianca.

La scrittrice americana Toni Morrison, deceduta recentemente, nel suo discorso di accettazione del premio Nobel nel 1993, disse che “la lingua oppressiva va oltre la rappresentazione della violenza; è la violenza stessa”. Le parole vengono usate per tanti scopi dalle aziende per vendere prodotti e dai politici per convincere gli elettori e dunque contengono un forte peso. Trump dà l’impressione di non capire che le parole feriscono e a volte uccidono. In realtà lo capisce molto bene e continuerà a usare il suo solito linguaggio aggressivo perché lo considera la sua carta vincente.

*Domenico Maceri, PhD, è professore emerito all’Allan Hancock College, Santa Maria, California. Alcuni suoi articoli hanno vinto premi della  National Association of Hispanic Publications.

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