OSSERVATORIO AMERICANO/ Il governatore della California cede ai sindacati sul salario minimo

Domenico Maceridi DOMENICO MACERI* – “Questo piano aumenta il salario minimo in modo prudente e responsabile offrendoci un po’ di flessibilità in caso di cambiamenti economici o di bilancio”. Con queste parole il governatore della California Jerry Brown spiegava l’accordo con i sindacati sul salario minimo. Che la legislatura del Golden State ha subito approvato. Si tratta di un notevole aumento per 5 o 6 milioni di californiani i quali vedranno eventualmente il loro salario aumentare a quindici dollari l’ora. Ciò non avverrà subito ma gradualmente. L’attuale salario di 10 dollari l’ora raggiungerà 15 dollari  nel 2023, il più alto in tutto il Paese. Contrasta notevolmente con il salario minimo federale di 7,25 dollari l’ora. Le compagnie con meno di ventisei dipendenti avranno un anno in più per raggiungere l’eventuale cifra di quindici dollari.

Brown era contrario all’aumento ma il referendum organizzato dai sindacati per l’elezione di novembre gli ha forzato la mano costringendolo a cedere. L’alternativa sarebbe stata più generosa dato che il fatidico 15 dollari l’ora si sarebbe raggiunto nel 2020. Ma il governatore ha preferito rallentare considerando il piano dei sindacati troppo rischioso.  Per minimizzare possibili effetti negativi Brown ha ottenuto la concessione dei sindacati di dare al governatore la possibilità di sospendere gli aumenti graduali in caso di calo nell’economia.  Ciononostante si tratta di una vittoria per i sindacati, i quali hanno raggiunto il loro obiettivo anche se in tempi meno celeri. La  vittoria del referendum non era sicura, ma probabile, secondo i sondaggi, anche perché coincide con l’elezione presidenziale e un inevitabile forte afflusso alle urne.
L’opposizione all’aumento del salario minimo è arrivata dai legislatori repubblicani, i quali hanno votato contro. Si sono sentiti i soliti ragionamenti: che una volta aumentato il salario minimo vi saranno perdite di posti di lavoro e quindi i più colpiti sarebbero i lavoratori più poveri.
Gli economisti sono ovviamente divisi. Il settembre scorso The Booth School of Business all’University of Chicago chiese a quarantadue economisti un’opinione sull’aumento del salario minimo a quindici dollari l’ora senza però ottenere una risposta chiara. Alcuni studi su altri aumenti del salario minimo non hanno riscontrato un effetto negativo.  È logico però che questi soldi extra nelle tasche dei poveri non andranno investiti  a Wall Street ma saranno spesi stimolando l’economia e forse creando altri posti di lavoro.
I beneficiari di questo aumento sono ovviamente lavoratori del ceto basso. Il novantasei percento ha più di venti anni e il settantadue percento  include  latinos, afro-americani o asiatici. Un terzo di loro ha figli, principalmente madri single. Due milioni di questi beneficiari riusciranno ad oltrepassare la soglia della povertà.
L’aumento del salario minimo porta la California alla leadership del movimento iniziato parecchi anni fa negli Stati Uniti. Oltre al Golden State, anche l’Oregon e lo Stato di New York, hanno approvato simili leggi. In quasi tutti questi  casi si tratta di Stati progressivi in cui il partito democratico controlla o ha una forte influenza. In Oregon l’aumento a quindici dollari è condizionato dalla geografia con rallentamenti in luoghi poco abitati offrendo anche alle piccole aziende più tempo per adeguarsi alla nuova legge. In altri Stati alcune città metropolitane come Seattle, Washington e Chicago hanno anche apportato migliorie al salario minimo.
La California però è lo Stato più popoloso con trentotto milioni di abitanti e un Pil che la piazzerebbe al settimo posto fra le nazioni del mondo, poco avanti al Brasile e all’Italia. L’impatto dell’aumento dunque potrebbe essere significativo, anche perché spingerebbe verso l’alto quegli stipendi che adesso sono un po’ più alti del salario minimo. Inoltre potrebbe anche esercitare una pressione su quegli Stati  che seguono il minimo del governo nazionale.
Per quanto riguarda il governo federale poco  di buono si intravvede all’orizzonte, eccetto nel caso in cui i democratici dovessero conquistare sia la Casa Bianca che le due Camere a Washington. Comunque vada, però, il governatore Brown ha ragione quando dice che l’aumento del salario minimo è “una questione di giustizia economica”.

*Domenico Maceri  docente di lingue all’Allan Hancock College, Santa Maria, California  (dmaceri@gmail.com)

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