OSSERVATORIO AMERICANO/ I redditi di Trump sono affari nostri

Domenico Maceridi DOMENICO MACERI* – “Non sono affari vostri”. Ecco come Donald Trump ha risposto alla domanda di George Stephanopoulos della Abc sulla aliquota fiscale da lui pagata. Alle insistenti richieste del giornalista di rendere pubbliche le sue dichiarazioni dei redditi, Trump ha detto che lo farà solamente dopo che il fisco americano concluderà le verifiche.
La riluttanza di Trump a pubblicare la dichiarazione dei redditi rivela,  come in molti altri casi, una grande mutevolezza di idee. Quando Mitt Romney, portabandiera del Gop nel 2012, esitava a rendere note le sue dichiarazioni dei redditi Trump lo aveva criticato. Adesso, ovviamente, è  un’altra storia.
La dichiarazione dei redditi non aiuterebbe Trump, come non ha aiutato Romney. Gli elettori nel 2012 scoprirono che l’aliquota pagata da Romney era inferiore al 20 percento, cifra più bassa di quella che pagano molti americani di classe media. Contribuì a dipingere Romney come un ultra-ricco incapace di capire i problemi dell’americano medio.
L’esitazione di Trump dunque si può capire. Nel caso del magnate si tratta di una faccenda molto più complicata. A cominciare dal fatto che la dichiarazione dei redditi potrebbe confermare ciò che molti sospettano sulla vera entità della sua ricchezza. Il magnate ci ha detto in non poche occasioni di possedere più di dieci miliardi di dollari. Il rilascio della dichiarazione dei redditi ci farebbe capire  quanto vale veramente il suo patrimonio. Secondo alcune analisi  del Wall Street Journal si pensa che lui abbia più di un miliardo e mezzo. Nel 2005 però un giornalista ha fatto altri calcoli e disse che il patrimonio di Trump si aggirava solo sui 250 milioni di dollari. Il magnate, arrabbiato dalle basse cifre, denunciò il giornalista  per diffamazione senza però vincere la causa.
Trump ha coltivato l’immagine e la tesi di essere così ricco che nessuno lo può comprare, come invece avviene con gli altri politici. Ha accettato pochissimi contributi nelle primarie ma ha anche beneficiato di milioni e milioni di pubblicità gratis dai media. Non appena lui vuole andare in TV o radio le porte sono sempre aperte perché fa salire gli ascolti. Radio e televisione sono un business e i soldi parlano. Trump crea denaro per i media, anche se lui ne riceve un  beneficio in termini di popolarità.
Dopo avere quasi la nomination in tasca Trump ha cambiato idea sui contributi finanziari ed ha deciso che organizzerà un gruppo di prima classe che gli raccoglierà un miliardo e mezzo di dollari necessari per la campagna elettorale. Ma ora  dovrà spiegare come mai ha fatto marcia indietro e non mantiene la promessa di autofinanziarsi. Forse perché non è così ricco come ha cercato di far credere?
La dichiarazione dei redditi porrebbe fine alle speculazioni fatte da alcuni, come Romney, che vi sia una grossissima sorpresa nella situazione finanziaria di Trump. Si crede che Trump abbia pagato una aliquota molto bassa perché ha ripetuto  parecchie volte di “lottare per pagare meno tasse possibile”. Secondo il giornale Crain’s New York Business, Trump ha beneficiato di una detrazione per individui con reddito inferiore a 500 mila dollari nel 2014, 2015 e 2016. Ciò non chiarisce il valore del suo patrimonio ma il suo non sembra il reddito favoloso di un miliardario.
Vi sono anche dubbi che lui non abbia dimostrato tanta generosità con i contributi caritativi e che potrebbe avere dei rapporti con persone che perseguono interessi molto forti. Si sospetta anche che i suoi contributi a politici di destra come di sinistra potrebbero rivelare grossi grattacapi per possibili favori ricevuti. Inoltre la dichiarazione dei redditi getterebbe luce sulle sue quattro bancarotte.
Meglio dunque mantenere il segreto. Il problema però è che dal 1970 tutti i candidati presidenziali dei due maggiori partiti  hanno rilasciato le dichiarazioni sui loro redditi. Trump sarebbe la prima eccezione, anche se lui ha promesso che lo farà dopo che il fisco completerà i suoi accertamenti.
Nel 2012, quando Romney esitava a rendere pubbliche le sue sue dichiarazioni fiscali, Barack Obama lo attaccò con annunci che mettevano in dubbio l’aliquota pagata dal suo avversario. Alla fine Romney dovette cedere perché non dichiarare i suoi redditi era divenuto troppo costoso politicamente.
Hillary Clinton, l’eventuale avversaria di Trump, ripeterà questo tipo di annunci per fare chiarezza sulle finanze del magnate di New York.
Trump ha detto a Stephanopoulos che gli elettori non scoprirebbero nulla dalla sua dichiarazione dei redditi. Lo crederanno i suoi fedelissimi elettori del Partito Repubblicano che gli hanno permesso la conquista della nomination. Gli elettori dell’elezione generale sono più esigenti. Il reddito del presidente o possibile presidente è affare non solo di Trump ma di tutti i cittadini.

*Domenico Maceri Docente di lingue all’Allan Hancock College, Santa Maria, California  (dmaceri@gmail.com)

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