NUCCIO FAVA/ Istituzioni europee troppo sorde con la Grecia

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E’ fin troppo facile prendersela con Tsipras e il suo nuovo ministro delle Finanze. Ma, disastro ulteriore a parte, il percorso appariva obbligato, pur tra i tanti alti e bassi drammatici che lo hanno caratterizzato. E che ora proseguono in patria, dove per Tsipras la prova più difficile non sarà forse in Parlamento ma, i termini politici a causa della assoluta contrarietà della sinistra del suo partito e per larghi settori di opinione pubblica che hanno già manifestato contro, denunciando il tradimento del referendum.

Le responsabilità di Tsipras sono evidenti, emblematizzate in quel gesto di togliersi la giacca e offrirla agli interlocutori dell’Eurogruppo, a significare platealmente che si sentiva spogliato di tutto. Così in effetti è stato, considerando le durissime condizioni imposte, nei contenuti pesantissimi e nelle scadenze di approvazione addirittura ad horas.

Pur con una onerosa tradizione di non rispetto degli impegni e di scarsa affidabilità, resta punitivo e incomprensibile l’esasperato rigore imposto alla Grecia. Specie avendo presenti le pesanti condizioni che il popolo greco – certo non gli armatori e gli evasori – si trovava ad affrontare con le conseguenti accresciute difficoltà per Tsipras e per la dignità di un popolo intero.

Proprio sul terreno della solidarietà e della comprensione politica della specialissima situazione della Grecia, le Istituzioni europee sono apparse sorde, severe, punitive a senso unico.

Difficile dire quanto la stessa cancelliera Merkel potrà sentirsi soddisfatta. Dovrà in ogni caso fare i conti con la destra rigorista del suo partito, l’opinione pubblica e gli elettori alle prese con un dibattito dentro e fuori il Partito Europeo, orientato prevalentemente addirittura a favore dell’uscita della Grecia.

A parte la chiara posizione di Hollande, favorevole fin dall’inizio all’accordo, riconoscendo una base sufficiente per la trattativa già nelle proposte del governo greco, singolare e sconcertante l’assenza di un qualche protagonismo della socialdemocrazia europea. A cominciare dalla socialdemocrazia tedesca, sostanzialmente allineata e coperta all’ombra della Merkel. Analoga la posizione del nostro presidente del Consiglio sempre possibilista in direzione di un accordo da raggiungere, senza però significativi contributi di originale apporto. Per tutti resta la grande sfida dei nazionalismi e degli estremismi nei singoli Stati Europei che sono una seria minaccia per il futuro della democrazia europea e lo sviluppo delle sue istituzioni.

UNA TRATTATIVA CHE HA MOSTRATO

TUTTI I LIMITI DEL’EUROPA

L’estenuante trattativa UE-Grecia ha mostrato drammaticamente i limiti istituzionali e politici della vecchia Europa, senza che si profili ancora qualche prospettiva per l’Europa di domani. Se non si fosse conclusa in certa misura la travagliatissima trattativa con Atene, ci troveremmo tutti a piangere sul latte versato senza ancora comprendere pienamente le conseguenze del fallimento. Le responsabilità greche sarebbero forse risultate le maggiori, anche per i continui tatticismi, non mostrare le carte, l’inaspettata ed improvvisa indizione del referendum.

Aveva fatto arrabbiare molti a Bruxelles la mossa di Tsipras, ma gli ha consentito di rafforzare il suo ruolo politico tanto ad Atene quanto a Bruxelles. Dove si è presentato forte del consenso popolare su cui ha potuto giocare anche nel Parlamento di Atene, perdendo un piccolo pezzo alla sua sinistra ma ottenendo il consenso dei moderati. I parlamenti nazionali degli Stati Europei avranno un ruolo fondamentale. Specie in Germania, dove la cancelliera Merkel deve far fronte ai mal di pancia presenti nel suo partito con riferimento soprattutto alle posizioni del ministro delle Finanze. E le incertezze riguarderanno non solo gli schieramenti politico-parlamentari, ma una montante reazione negativa da parte delle opinioni pubbliche nazionali.

Questo rilevante problema che riguarda in generale tutte le crescenti opposizioni in chiave anti-euro e anti Istituzioni dell’UE, costituisce la questione più acuta delle difficoltà cui vanno incontro i paesi dell’Unione. Specie quelli che si apprestano ad appuntamenti elettorali importanti e che avranno proprio sui temi europei la parte più sostanziosa dello scontro propagandistico e della ricerca del consenso. Sarà il tema anche italiano in vista del voto del 2018, specie se le aspirazioni di Renzi per una Europa della crescita e dello sviluppo restano sostanzialmente solo buone intenzioni.

In qualche modo l’Europa andrebbe rifondata con una convinta adesione dal basso e una legittimazione democratica che fosse avvertita come un reale superamento di quella che viene definita “Europa delle banche”. Per molti versi la vicenda greca ha posto in evidenza questi nodi cruciali, ed è una scorciatoia semplicistica affannarsi ad assegnare pagelle da una parte o dall’altra, dividere tra buoni e cattivi, e tra vincitori e vinti. Vale in qualche modo per tutti il grido di Papa Francesco dai paesi più poveri dell’America Latina: “L’economia mondiale deve essere al servizio dei popoli e non dei più fortunati”.

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