LE DUE FACCE DEL SI’ A UNA CATTEDRA DOVUNQUE

ORA di puntadi Ennio Simeone/ 

Soltanto 244 degli 8776 insegnanti precari aspiranti ad una cattedra (cioè al posto fisso) hanno rifiutato la destinazione assegnata loro dal ministero dell’Istruzione attraverso un anonimo algoritmo del sistema informatico. Cioè, contrariamente a quanto alcuni ipotizzavano, quasi nessuno di coloro che sono stati destinati a trasferirsi, poniamo, dalla Calabria in Piemonte, dalla Basilicata in Veneto o dalle Marche in Sicilia, ha rinunciato all’assunzione immediata, anche a costo di enormi sacrifici.

Il ministro Stefania Giannini ha esultato. Con lei ha esultato il sottosegretario Faraone, responsabile Scuola del Pd (“i numeri ci danno fiducia”). E con loro tutti i fan della cosiddetta “buona scuola” (nello sfornare slogan, tweet e hastag Renzi è un campione) e del governo in carica, anzi dei governi in carica, di qualunque colore siano.

Ma c’è davvero da esultare? Dal punto di vista di chi vuole ottenere un risultato subito e a qualunque costo, sì. Ma da qui a considerare quel risultato esaltante ce ne corre, perché quei docenti precari non avevano alternativa: “prendere o lasciare”, cioè accettare la sede assegnata o rinunciarvi e perdere definitivamente il diritto all’assunzione anche in futuro, buttando a mare anni di supplenze e di insegnamento precario.

Anzi, il fatto che siano stati in così pochi a rinunciare è proprio il segno che in Italia c’è una tale fame di lavoro che, pur di averlo o di non perderlo, quasi tutti (prevalentemente in età non giovanissima) hanno deciso di affrontare, anche per uno stipendio fin troppo modesto, in molti casi enormi disagi familiari ed economici derivanti da un trasferimento lontano dalla regione di residenza.

Niente trionfalismi, dunque. Sarebbero fuori luogo. E’ come se – il paragone non sembri eccessivamente ardito – ci compiacessimo per i tanti migranti che cercano di raggiungere il nostro paese invece di preoccuparci per le ragioni che li costringono a lasciare il loro.

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