Il “perdente di successo” è scappato col pallone: «Vado a sciare e non da Mattarella»

 

di ENNIO SIMEONE – Era stato definito un «perdente di successo». E in realtà il meglio di sé Matteo Renzi lo aveva dato il giorno dopo la sconfitta. Sia quando fu battuto da Bersani alle primarie per la segreteria del Pd, sia quando la stessa cosa accadde alle primarie per la scelta del candidato del partito alla carica di capo del governo: ammissione della sconfitta e promessa di collaborazione con il vincitore. Trascorsi due mesi, però, avrebbe consumato la prima vendetta partecipando, attraverso i parlamentari del Pd a lui fedeli, al siluramento della candidatura  di Romano Prodi al Quirinale e, di conseguenza, al siluramento di Bersani che l’aveva proposta. E, un anno dopo, mettendo lo sgambetto ad Enrico Letta, preceduto dal perfido tweet tranquillizzante #Enricostaisereno. Persino dalla bruciante batosta del referendum era riuscito a risollevarsi, pur non avendo mantenuto fede alla promessa di «abbandonare la politica» in caso di vittoria dei No: si era eclissato ed era sparito per un po’ dai teleschermi andandosene a fare un viaggio negli Stati Uniti.

Questa volta, dopo la Caporetto elettorale del 4 marzo, ha reagito diversamente. Malamente: è scappato col pallone, per usare una metafora che gli è cara. Ha annunciato le dimissioni ma non le ha rassegnate subito, come avrebbe dovuto e come avrebbe fatto il «perdente di successo»; ha detto che vuol fare il senatore semplice di Lastra a Signa, ma, ha minacciato, dopo che si saranno insediate le Camere, anzi dopo che si sarà formato il governo, e, ancor più, ha dettato la linea che il partito (di cui ha detto che lascia la guida) dovrà tenere in questa lunga fase: niente dialogo con i vincitori di qualunque colore! Hanno vinto? E ora se la sbrighino da soli! Non lo ha sfiorato nemmeno per un istante la considerazione che quelli che lui chiama gli «antistema» sono stati votati dagli elettori italiani, gli stessi che quattro anni fa avevano dato a lui il 40 per cento dei consensi per la vittoria alle elezioni europee e il cento per cento delle loro speranze che lui era stato capace di suscitare.

Ma non soddisfatto del glorioso ritorno al stile arrogante, poche ore più tardi ha detto di peggio: «Me ne vado a sciare e non parteciperò alle consultazioni del presidente della Repubblica per la formazione del governo». Ora i suoi amici – che ne hanno apprezzato ed esaltato l’annuncio del passaggio all’opposizione – per favore, non lo fermino. E gli augurino grande successo nella discesa libera.

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