Il giornalista anti-mafia Maniaci nega le estorsioni e contrattacca

Pino Maniaci, il direttore di TeleJato la tv siciliana antimafia il 25 Giugno 2012, a Radio Siani, la radio di Ercolano che trasmette in un appartamento confiscato alla camorra, nell ambito del festival dell' impegno civile. ANSA/CESARE ABBATE/
Foto di Cesare Abbate (Ansa)

Il giornalista anti-mafia Pino Maniaci, direttore dell’emittente tv Telejato di Partinico –  accusato di estorsione  nell’inchiesta che ha portato all’arresto di dieci mafiosi della provincia di Palermo – parte al contrattacco, contesta le accuse, e, dopo essere stato interrogato dagli inquirenti, annuncia querele. “L’interrogatorio non è stato secretato, posso parlarne a ruota libera –ha affermato Maniaci a Radio Cusano Campus-. Abbiamo chiarito, ho risposto a tutte le domande del giudice. Ho chiarito la mia posizione, non c’è stata alcuna estorsione. Si tratta solo di alcune supposizioni da parte degli inquirenti. Non c’è alcuna intercettazione in cui chiedo soldi a qualcuno. Le somme ricevute sono il dovuto di una pubblicità messa in onda su Telejato del negozio della moglie del sindaco di Borgetto, prima di diventare sindaco. Per quanto riguarda Partinico sono somme per una persona in difficoltà. Ho dato mandato ai miei legali di denunciare i sindaci per calunnia. Dai media è stato fatto uno spot maligno nei miei confronti dove il nome è stato messo all’interno di un’operazione anti-mafia, accostato a pezzi di merda con cui non abbiamo niente a che vedere. E’ un’operazione mediatica, per gettare fango sulla mia persona e fermare le inchieste che stiamo facendo”.

Il caso dei cani. Nel 2014 Maniaci denunciò che ignoti avevano ucciso e impiccato i suoi cani, ultima di una serie di intimidazioni subite. “Ora mi devono dare la scorta, ce la giochiamo con la mafia”, diceva Maniaci, diventato famoso per le sue campagne contro i clan, non sapendo di essere intercettato e tentando di far passare come mafiosa una intimidazione legata a vicende private. In realtà, dicono gli inquirenti, a minacciarlo – come appare da una intercettazione –  sarebbe stato il marito dell’amante, circostanza di cui il giornalista era ben consapevole.

Lui replica: “E’ stata presa un’intercettazione strettamente privata. Al telefono uno può farsi bello e dire tutte le minchiate che vuole, ma contano i fatti. L’assassinio dei miei cani fu un’intimidazione mafiosa. Il problema è che questa storia è stata confezionata ad arte perché non fa nemmeno parte del fascicolo penale. Se io effettivamente ho detto qualcosa del genere, come mai gli inquirenti non hanno indagato o non hanno interrogato quelle persone che io ho accusato di aver ucciso i miei cani? E’ solo gossip. Il giudice ha detto che non c’entra nulla con l’inchiesta”.

“Sono molto amareggiato e molto stupito da quello che è stato l’impatto mediatico studiato a tavolino per farmi passare per delinquente –ha concluso Maniaci-. Questo dovrebbe far riflettere. Sono già stato mediaticamente processato e condannato. Ho dovuto abbandonare i telefoni su ordine dei miei avvocati, per rimanere sereno prima dell’interrogatorio con i magistrati. Da oggi in poi risponderò a tutti e darò a tutti i chiarimenti. Le persone sono rimaste deluse dal messaggio mediatico che i giornali hanno fatto passare. Ai ragazzi dico solo che non li ho mai delusi”.

Maniaci – a parere degli inquirenti – avrebbe preteso denaro e favori, nonché un contratto per la compagna, dai sindaci di Borgetto e Partinico in cambio di una linea soft della sua televisione sulle attività delle amministrazioni comunali e su relazioni e parentele scomode di alcuni primi cittadini. Poche centinaia di euro e i riferimenti spiacevoli sarebbero spariti dai servizi di una emittente conosciuta per le sue battaglie antimafia. Il giornalista,  avendo appreso giorni fa dell’indagine a suo carico, si è detto vittima di una vendetta dei magistrati per le denunce fatte sulla mala gestione della sezione misure di prevenzione del tribunale. Ma le presunte vittime confermano le accuse.

Intanto la Procura di Palermo, che ha coordinato l’inchiesta, ha chiesto e ottenuto dal gip per Maniaci la misura del divieto di dimora nelle province di Palermo e Trapani.

Intanto la Compagnia dei carabinieri di Partinico ha eseguito dieci misure cautelari, emesse dal gip del Tribunale di Palermo, su richiesta della Dda, nei confronti di esponenti della “famiglia” mafiosa di Borgetto, accusati, a vario titolo, di associazione mafiosa, estorsione e intestazione fittizia di beni.  Ed è  nell’ambito dell’inchiesta che ha portato ai dieci arresti che è indagato Pino Maniaci. Il quale si definiva una “potenza”, sosteneva di essere in grado di “mandare a casa” chi non faceva come voleva lui, e irrideva le solidarietà ricevute per presunte intimidazioni mafiose, anche quella del premier Renzi che gli aveva telefonato per manifestargli vicinanza. Lo si evincerebbe dalle intercettazioni effettuate dai carabinieri. Da una di queste, a carico di un sindaco,  viene fuori la consegna di una somma di denaro al giornalista. Circostanza che insospettisce gli investigatori, i quali  decidono di metterlo sotto controllo. E così  scoprono che Maniaci in cambio di piccole somme, addirittura 200-300 euro, assicurava ai sindaci di non trasmettere quelli che definiva scoop che avrebbero potuto danneggiarli.

Pino Maniaci era assurto a notorietà, fino a diventare simbolo della libera informazione anti-mafia, quando raccontava delle minacce ricevute: “Nel corso degli anni abbiamo avuto qualcosa come 40 gomme tagliate, tre macchine bruciate, io ho subito un’aggressione fisica da parte del figlio del boss Vito Vitale, che ha cercato di strozzarmi con la mia stessa cravatta”. La sua testimonianza è riportata nella relazione della Commissione antimafia sullo “stato dell’informazione e sulla condizione dei giornalisti minacciati dalle mafie”. Maniaci venne sentito dalla Commissione il 16 settembre 2014. Parlando dell’aggressione da parte del figlio del boss, il direttore di Telejato raccontò che in quella occasione fu “fortunato visto che mio papà mi ha insegnato il doppio nodo (della cravatta – ndr) che non strozza più di tanto”. E aggiunse: “Mi sono salvato, ma allo stato attuale porto un busto perché sono stato fracassato dai pugni e tuttora ne porto i segni”.

Alla Commissione Maniaci riferì di avere collezionato circa 300 querele, quasi tutte poi archiviate, e spiegò: “Le minacce sono state di diverso tipo, anche con lettere intimidatorie, tutte denunciate, oltre che freni tagliati, colpi di pistola nei vetri… Hanno cercato di intimidirmi bruciando anche la macchina di mio figlio. Tutte cose denunciate, tanto che dal 2008 ad oggi io sono sotto tutela dei carabinieri, e la Guardia di finanza e la polizia hanno il compito di tutelare la sede della televisione e la mia casa”.

E’ probabile che molte di queste cose siano realmente avvenute. Il problema è stabilire se col tempo non siano diventate un modo per coprirne altre a ruoli invertiti. Speriamo che l’inchiesta possa fare piena luce e dirci qual è la verità.

La stessa cosa afferma Antonio Ingroia, presidente di Azione Civile, ex magistrato, ora avvocato e difensore del giornalista. Intervistato da Radio Cusano Campus, Ingroia dice: “Lo stato d’animo di Maniaci è di un uomo che per anni e anni si è battuto per l’antimafia, esponendosi e rischiando davvero – afferma Ingroia-. Quello che emerge oggi non può cancellare la storia: lui ha fatto giornalismo anti-mafia subendone anche le conseguenze. In Italia purtroppo si fanno sempre le crociate: o santi o diavoli. Parliamo di uomini. Rispetto all’uomo Maniaci non si può mettere in dubbio la veridicità delle sue inchieste giornalistiche e delle minacce e aggressioni ricevute; su questo ci metto la mano sul fuoco. Sui fatti recenti vedremo. Se la Procura procede per estorsione, l’estorsione prevede che ci sia stato un mercanteggiamento dell’attività giornalistica da parte di Maniaci. Noi dimostreremo che lui non ha cambiato modo di fare giornalismo, indipendentemente dai contributi che eventualmente ha ricevuto. E, se li ha ricevuti, sicuramente lui dimostrerà che si tratta di contributi leciti, che nulla hanno a che vedere con il mercanteggiamento della sua professionalità”.

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