Il “campo largo” per governare l’Italia può nascere solo dal confronto sul tipo di Italia che si vuole costruire

di SERGIO SIMEONE* – Arginare la destra, ha detto qualche giorno fa Carlo Calenda, non è una linea politica. Questa affermazione è stata fatta dopo che la formazione politica da lui creata,”Azione”, a Genova aveva sostenuto il candidato sindaco di centrodestra Marco Bucci,  a Verona si era schierata  a sostegno di Damiano Tommasi, candidato sindaco di centrosinistra e in tanti altri comuni si era presentata da sola). Nella dichiarazione, e nelle conseguenti scelte di schieramento alle recenti elezioni amministrative, il leader di “Azione”  (che pure occupa un seggio al Parlamento europeo grazie ai voti del PD) c’è l’evidente tentativo di far emergere uno spazio elettorale di centro e per farlo nega la necessità  per le formazioni che occupano questo spazio di allearsi in maniera permanente con la destra o con la sinistra  rivendicando una totale “fluidità” nella scelta .

A mettere in crisi questa teoria è, però, sopraggiunto il concitato discorso di Giorgia Meloni in Spagna, discorso che Lucio Caracciolo ha definito addirittura franchista e  Pierluigi Bersani ha auspicato che venga largamente diffuso, perché rivela la vera natura di questa leader e del suo partito. Ha ragione Bersani, perché Giorgia Meloni, dopo  le note disavventure politiche che hanno messo fuori gioco Matteo Salvini e lo spegnersi del carisma di Berlusconi, in caso di vittoria del centrodestra alle politiche del 2023, sarebbe il presidente del Consiglio italiano, e quindi da quel discorso sappiamo in tal caso che tipo di Italia avremmo: una Italia intollerante verso qualsiasi diversità, una Italia che anziché allinearsi per i diritti civili, con gli altri Paesi europei, farebbe più di un passo indietro, che avrà una concezione egoistica degli interessi nazionali, incapace di praticare accoglienza e solidarietà. Giorgia Meloni ha insomma in mente per l’Italia il modello della Ungheria di Orban, il Paese divenuto, non a caso, la longa manus di Putin nel minare la coesione della UE.

A questo punto non c’è più spazio per gli atteggiamenti ambigui, tanto cari ai sedicenti centristi (da Calenda a Renzi a Toti): arginare la destra è una linea politica. E questo vale non solo per questi partitini dai comportamenti ondivaghi, ma anche per quei liberali e antisovranisti (sempre sedicenti) che si trovano nei partiti  di centrodestra e rischiano di diventare invece pedine di un disegno politico chiaramente reazionario.

Al PD, che, in base ai risultati elettorali alle elezioni amministrative e ai sondaggi, ha chiaramente la responsabilità di farsi architrave del fronte democratico e progressista, spetta il compito di formulare in positivo questa urgenza di arginare la destra. Proponendo un programma politico in cui i valori democratici, opposti a quelli proposti dalla Meloni, si traducano in obiettivi precisi: dalla lotta alle diseguaglianze sociali e territoriali alle leggi per regolare il fine vita, per la lotta contro l’omofobia, per l’introduzione dello ius scholae, per la legalizzazione della produzione di droghe leggere,  ad una adesione convinta e non strumentale alla Unione europea ed al suo impegno non solo per la crescita economica degli Stati membri, ma anche per sostenere i popoli che lottano per la propria libertà e quelli che lottano contro fame e carestie.

Un programma siffatto è necessario non soltanto  per dare un carattere propositivo e non difensivo alla lotta contro la destra, ma perché diventi il riferimento vero per la costruzione di quel campo largo di cui parla Enrico Letta. Finora, infatti, questo somiglia ad un puzzle i cui pezzi si accostano o  si respingono a seconda dei sentimenti di simpatia o antipatia tra i vari capetti. E’ ora che si passi ad un confronto sul tipo di Italia che si vuole costruire. E’ solo da questo che può nascere una vera alleanza politica e non un indigeribile pastrocchio.

*Sergio Simeone, docente di Storia e Filosofia, è stato anche dirigente del sindacato Scuola della Cgil

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