Elezioni in Spagna: il bis di 6 mesi fa, solo con il Partito Popolare un po’ più forte, il Psoe più debole, e Podemos che resta terzo

Acting Spanish Prime Minister, Mariano Rajoy, greets an electoral member upon his arrival to vote in the general elections at a polling station Madrid, Spain, 26 June 2016. EPA/ANGEL DIAZ

di ROMANO LUSI – Il Partito Popolare del premier uscente Mariano Rajoy (foto) si conferma primo partito della Spagna, ottenendo alle nuove elezioni politiche il 33% dei voti con 137 seggi,  che però non gli consentono da solo di formare un governo, perché per avere la maggiorana occorrono almeno  176 parlamentari su 350 da cui è composto il Congresso dei deputati. Negativo il risultato per il Partito socialista (Psoe) che ottiene il peggior risultato mai conseguito e si deve accontentare del 22,7% dei voti, una percentuale che gli consente di evitare il sorpasso da parte di Podemos, ma elegge 85 deputati perdendone 5 rispetto ai 9o ottenuti nelle elezioni di 6 mesi fa. Deludente dunque il risultato anche per Podemos di Pablo Igresias, che arriva al 21,1% e 71 seggi nonostante l’alleanza con la sinistra estrema, mentre i centristi di Ciudadanos si fermano al 13% e 32 seggi.

Disfatta dei sondaggi – Dopo quella sulla Brexit in Gran Bretagna, nuova sconfitta per gli istituti demoscopici, stavolta in Spagna, perché  hanno dato previsioni smentite poi dal voto reale. Per le due settimane di campagna tutti i sondaggi hanno accreditato lo ‘storico’ sorpasso di Podemos sui socialisti. Anche un exit-poll diffuso alle 20 di stasera lo ha confermato, dando al partito di Pablo Iglesias il 25,6% dei voti e fra 91 e 95 deputati, davanti al Psoe con il 22% e 81-85 seggi. Due ore dopo dallo spoglio delle schede vere arrivava una sonora smentita. Il Psoe batte Podemos con 85 seggi contro 71, e con il 22,8, contro 21,13%. Sono risultate sbagliate anche le previsioni dei sondaggisti sul risultato del Pp, annunciato in calo rispetto al 28,7% ottenuto in dicembre. Lo stesso exit-poll dava al partito di Rajoy il 28,5% e 117-121 deputati. Il risultato reale è stato di 137 seggi, con il 33%.

Il leader di Podemos Pablo Iglesias ha ammesso questa sera che il risultato del suo partito alle politiche spagnole “non è stato soddisfacente”. Il leader del partito ‘viola’ si è detto anche preoccupato dalla “perdita di consenso per il blocco progressista” nel suo complesso. Difficile dire quanto su questo risultato abbia inciso l’esito del referendum svoltosi in Gran Bretagna sull’uscita dall’Unione europea, ma secondo alcuno osservatori un beneficio ne è derivato certamente al Partito Popolare di Rajoy.

Ed ora che cosa succederà?  Rajoy troverà un alleato che gli consenta di formare un governo con un sostegno parlamentare adeguato? O gli spagnoli dovranno di nuovo tornare alle urne dopo altri 6 mesi?

Vi è da immaginare che i sostenitori della “governabilità” a tutti i costi, sostenitori di leggi elettorali che assegnino la maggioranza assoluta – mediante il ballottaggio – al partito che prende più voti, additeranno la situazione della Spagna come argomento a loro sostegno anche in Italia. Ma resta il fatto che la “governabilità” così ottenuta darebbe luogo a due pesanti handicap: il primo, che determina un vulnus di democrazia, consiste nel fatto che viene assegnato il potere assoluto a un partito che – come nel caso della Spagna – gode della fiducia di appena un terzo dell’elettorato (a proposito, l’affluenza alle urne stavolta è stata appena del 61% degli aventi diritto); il secondo, che mette a rischio la natura stessa della “governabilità”, consiste nel fatto che all’interno del partito vincente le spinte di coloro vogliono difendere o perseguire interessi contrapposti acquisterebbero forza e capacità di ricatto.

Meglio andare a coalizioni tra partiti diversi, purché fondate su patti e programmi di governo, magari limitati, ma trasparenti. D’altronde, se pensiamo a ciò che accade in Italia, dove a metà della legislatura in corso oltre 160 parlamentari hanno già cambiato casacca, c’è poco da fare affidamento su una legge elettorale maggioritaria per garantirsi la  “governabilità”. Le maggioranze si sbriciolano e i governi cambiano colore, persino da rossi a rosa e poi a…verdini.

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