Come previsto, il primo scrutinio per l’elezione del Presidente della Repubblica (al quale hanno partecipato 976 dei 1008 “grandi elettori”) si è concluso con 672 schede bianche, 49 nulle, 88 voti dispersi. Nuova votazione domani (martedì 25 gennaio) pomeriggio alle ore 15 per la seconda votazione, quando, come oggi, per essere valida la votazione occorre il quorum dei due terzi dei votanti. Le schede nulle sono state 49, i voti dispersi 88, tra cui uno per Draghi.
Nella prima votazione, nella valanga di schede bianche, sono spiccati alcuni nomi. L’ex vicepresidente della Consulta, Paolo Maddalena, candidato dagli ex grillini, è risultato il più votato con 36 voti. Hanno inoltre ottenuto preferenze: il Capo dello Stato, Sergio Mattarella, 16; la ministra della Giustizia, Marta Cartabia, 9; Silvio Berlusconi, il deputato di Forza Italia Roberto Cassinelli, Guido De Martini, e il deputato ex M5S Antonio Tasso, 7; Umberto Bossi e il presidente di Italia viva, Ettore Rosato, 6; Marco Cappato, 5; il senatore della Lega Cesare Pianasso e Bruno Vespa, 4; il conduttore di un ‘Giorno da pecora’, Giorgio Lauro, Enzo Palaia, il direttore del Dis, Elisabetta Belloni, la deputata di Italia viva Maria Teresa Baldini, il presidente della Lazio, Claudio Lotito, Pierluigi Bersani, il giornalista Claudio Sabelli Fioretti, Francesco Rutelli, Amadeus, 3; Giuliano Amato, il presidente del Senato, Elisabetta Casellati, Alberto Angela, Pier Ferdinando Casini, l’ex premier Giuseppe Conte, Gianluca De Fazio, il ministro dello Sviluppo economico, Giancarlo Giorgetti, il chirurgo Ermanno Leo, Antonio Martino, il giurista Ugo Mattei, il sottosegretario all’Editoria, Giuseppe Moles, Carlo Nordio, il deputato del Pd Paolo Siani, 2.
Mario Draghi, intanto, è tornato a palazzo Chigi per avere incontri e contatti telefonici con alcuni leader, incontri di cui avrebbe preferito fare a meno, ma si è adattato quando ha capito che altrimenti vedrebbe sfumata la sua aspirazione alla carica di presidente della Repubblica, anche se sono in molti a ritenere (e a sperare) che debba restare a capo del governo fino alla fine della legislatura (cioè un altro anno) per evitare che il governo cada e si debba andare ad elezioni anticipate.
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