LA GIORNATA DEL DOLORE/ Diego Armando Maradona sepolto nel cimitero di “Bella Vista” dopo funerali in forma privata. Ora riposa con il padre e la madre. Vergognosi incidenti alla Casa Rosada per la camera ardente. A Napoli l’omaggio di una città intera con cortei e assembramenti in barba al Covid

di FABIO CAMILLACCI – Diego Armando Maradona, morto il 25 novembre dopo un arresto cardiorespiratorio, è stato sepolto nel cimitero “Bella Vista”, dove riposano anche i suoi genitori. Intanto, polemiche e, cosa ancor più grave, incidenti alla camera ardente e al cimitero. L’avvocato di Dieguito Matias Morla attacca: “Lo hanno asciato senza cure per 12 ore e l’ambulanza è arrivata in ritardo di mezz’ora. Chiederò l’apertura di un’indagine”. Nella giornata di giovedi 26 novembre, in serata “El Pibe de oro” è stato sepolto nel cimitero di “Jardin de Bella Vista”. In precedenza, deprecabili scontri davanti alla Casa Rosada. Verso sera poi il trasferimento del feretro al cimitero e la cerimonia privata prima della sepoltura.

Nuovi momenti di tensione tra polizia e ultras si sono registrati all’arrivo del carro funebre con il feretro di Diego Armando Maradona al cimitero privato “Jardin de Bella Vista”. Dopo l’arrivo del corteo, la folla giunta per rendere omaggio al campione, ha iniziato ad avvicinarsi alle porte del cimitero, scontrandosi con le forze di sicurezza presenti in massa sul posto. Dalla folla sono partite pietre in direzione degli agenti, che hanno risposto con l’uso di fucili con proiettili di gomma. Tornata la calma, la polizia è rimasta a presidiare il cimitero. Tutto come se l’emergenza sanitaria da coronavirus non esistesse.

Un lungo applauso ha unito la città di Napoli con l’Argentina in ricordo di Maradona. Alle 21 i napoletani hanno acceso alle finestre lumi e candele. Appena finito il minuto di raccoglimento allo stadio San Paolo per la gara di Europa League, hanno a lungo applaudito dai balconi e dalle finestre, scandendo il coro “Diego, Diego”. L’appello si era diffuso via social e anche sui manifesti affissi in tutta la città. Un appello che i partenopei innamorati di Diego hanno raccolto in massa violando pure le norme anti-Covid davanti allo stadio.

Norme anti-Covid violate anche con un corteo di migliaia di tifosi che si è mosso da Piazza Municipio ed è giunto nella vicina Piazza del Plebiscito. I tifosi hanno sfilato cantando, “un Maradona, c’è solo un Maradona”. Al loro ingresso in Piazza del Plebiscito poi hanno acceso decine di fumogeni rossi illuminando tutta l’area. I tifosi si sono fermati davanti all’ingresso principale di Palazzo Reale dove è stata posizionata una grande immagine di Maradona. Un popolo in lutto per la perdita di un grande amore.

LE CRONACHE, I COMMENTI, I RICORDI

E’ morto Diego Armando Maradona

di FABIO CAMILLACCI/ Il mondo intero piange la scomparsa del più grande calciatore di tutti i tempi: è morto Diego Armando Maradona. Il 30 ottobre scorso aveva compiuto 60 anni. A dare la brutta notizia è stato il giornale argentino il “Clarin” scrivendo: “E’ successo l’inevitabile”. Il quotidiano argentino ha fatto sapere che l’ex “Pibe de oro” è deceduto in seguito a un attacco cardiorespiratorio mentre si trovava nella sua casa nel quartiere San Andres alla periferia di Buenos Aires, dove viveva dopo essere stato dimesso dalla clinica in cui recentemente era stato operato al cervello. Con Dieguito c’era la figlia Giannina.

Inutili i soccorsi (in ritardo, secondo l’avvocato di famiglia). Un altro giornale argentino, “La Nacion”, quotidiano vicino all’entourage di Maradona, ha riportato la notizia della morte del “calciatore del secolo”, precisando che sul posto, dopo che l’ex fuoriclasse si è sentito male, sono accorse ben nove ambulanze. Ma in ritardo, secondo  l’avvocato di famiglia. Mentre, secondo quanto riporta “Tyc Sports”, Maradona è morto alle 13.02 ora di Buenos Aires: le ore 17.02 in Italia.

L’ultima intervista di Diego Armando. Proprio in occasione del suo 60° compleanno, Maradona al “Clarin” aveva dichiarato: “Sono stato e sono molto felice. Il calcio mi ha dato tutto quello che ho, più di quello che avrei immaginato. E se non avessi avuto quella tossicodipendenza avrei potuto giocare molto di più. Ma oggi questo è passato, sto bene e quello che mi dà dolore è non avere i miei vecchi”. Incredibile coincidenza, Maradona è morto il 25 novembre: lo stesso giorno del suo grande amico Fidel Castro e di un altro fuoriclasse “maledetto del calcio” come George Best.

Il recente ricovero. L’11 novembre scorso l’ex “Pibe de oro” aveva lasciato la clinica Olivos di Buenos Aires dove era stato operato alla testa il 4 novembre per un ematoma subdurale. Il dottor Leopoldo Luque aveva diffuso la prima foto dopo l’intervento chirurgico in cui Maradona appariva sorridente, sul letto e con una benda in testa. E il suo avvocato Matias Morla aveva dichiarato: “Diego è incredibile, è vivo per miracolo”. Oggi, però, è arrivata la notizia più brutta.

Omaggi da tutto il mondo per il fuoriclasse argentino. I messaggi di cordoglio sui social si moltiplicano minuto dopo minuto. Un minuto di silenzio prima delle partite di Champions ed Europa League; tutte le squadre con il lutto al braccio. Intanto, il Governo dell’Argentina ha proclamato tre giorni di lutto Nazionale per commemorare Diego Armando Maradona: l’argentino più famoso del mondo. Lacrime e lutto anche a Napoli, la sua seconda patria. Il sindaco di Napoli Luigi de Magistris ha proclamato il lutto cittadino e poi ha aggiunto: “Intitoliamo lo Stadio San Paolo a Diego Armando Maradona”. Questo maledetto 2020 ci ha tolto anche una leggenda del calcio. Ciao Diego.

    * * *

Il Re stavolta non si rialzerà più. Il calcio è morto.

Il ricordo dello storico dello sport

di RAFFAELE CICCARELLI*/ Nonostante il nostro mestiere, nonostante l’esperienza di una vita, non si è mai troppo preparati quando arrivano notizie inattese, tristi, che ti precipitano in una sorta di vuoto pneumatico. Davanti al foglio bianco resti basito, esso diventa schermo su cui si proiettano le mille immagini di chi non c’è più, di ricordi che ti travolgono come uno tsunami, non riuscendo a distinguere, con gli occhi velati di lacrime, da quale cominciare, perché tutte importanti. Quando poi non è e non sarà mai così, perché potrà essere volato via l’uomo Diego Armando Maradona, ma la sua leggenda, la leggenda di D10s, resterà per sempre.

Pochi giorni fa, proprio su queste pagine, stavo a scrivere del compimento dei suoi sessant’anni, descrivendolo come quel geniale pittore che ha usato il suo piede sinistro come un pennello per disegnare magie sul campo di calcio. Qualche tempo fa scrissi un racconto riferito a quello che è stato considerato l’apice della sua leggenda, la partita del mondiale del 1986 in Messico contro l’Inghilterra, quando fu capace di segnare la rete più furba e quella più bella della storia. Ma veramente centinaia, se non migliaia, potrebbero essere gli aneddoti legati alle sue magie sul campo.

Queste sono quelle cose che nessuna morte potrà portare via. Gli acciacchi della vita sregolata che purtroppo aveva fatto, ne avevano minato il fisico, ma la vita privata l’ho sempre considerata una cosa sua, a noi, a me, ha sempre interessato quello che faceva in campo, e lì non c’erano dubbi su chi fosse il più grande. Anzi, a ben pensare, questo aumenta il rammarico, perché se così ci ha deliziato, si provi a immaginare cosa avrebbe ancora potuto farci vedere, se fosse stato un atleta diverso. Ma anche questa era la sua grandezza.

Pleonastico paragonarlo a Pelé, così come paragonarlo ai grandi di oggi, Cristiano Ronaldo e Leo Messi. Ognuno grande nella sua epoca, ma Maradona ha sempre avuto qualcosa di diverso, perché egli era il campione del popolo. E il suo popolo, oltre l’Argentina, abitava qui, in quell’angolo di terra della nostra Penisola che è Napoli. Qui egli ha trovato la sua dimensione, un popolo da guidare e che si è lasciato guidare, fedele al suo Re, perché questo è stato Diego a Napoli: un Re e non un Masaniello, una guida rimasta nel tempo e che resterà imperitura, e non un rivoluzionario del momento.

Decine di volte è caduto, colpito dagli acciacchi come gli avversari miravano alle sue gambe, unico modo per fermarlo, altrettante volte si è rialzato, senza mai protestare, senza mai perdere la sua forza. Non questa volta. La vita ha portato il tackle definitivo, il Re non si rialzerà più. Il calcio è morto. Ma il calcio vive, e continuerà sempre a vivere, perché quello che ci ha mostrato Maradona con il suo genio calcistico, nulla e nessuno potrà mai cancellarlo, finché  il sole brillerà sulle cose umane. AD10s, D10s.                                    (Nella foto: l’abbraccio con Papa Francesco)

*Raffaele Ciccarelli, storico dello sport

* * *

Quando arrivava in “500” il lunedì mattina in redazione

per parlare al telefono con i tifosi napoletani

di ENNIO SIMEONE – Era il 1986. I napoletani avevano già accolto trionfalmente Maradona. Era l’anno che precedeva quello che nella storia del calcio sarà contrassegnato dal primo scudetto del Napoli, targato Diego. Da un paio di anni a Napoli usciva nelle edicole due volte al giorno (la mattina e il pomeriggio) un nuovo quotidiano, “Il Giornale di Napoli“, fondato da un ex direttore del “Mattino“, il professore Orazio Mazzoni. Dopo aver perduto quello “scettro”, gli stava stretto il solo impegno di docente universitario. Perciò aveva deciso di lanciarsi in una nuova avventura editoriale con l’obiettivo di occupare lo spazio che era soltanto dell’edizione napoletana di “Paese sera“, puntando su una squadra di giovani in gamba, alcuni ancora ragazzi, qualcuno ancora studente di liceo come Mario Orfeo, che poi sarebbe diventato direttore generale della Rai, o Roberto Napoletano, che sarebbe diventato direttore del “Sole 24 ore”, o Roberto Marino, che avrebbe poi diretto quotidiani del Gruppo “Espresso“, Antonio Sasso, che sarebbe diventato direttore dell’altro storico quotidiano napoletano, il “Roma“, e quando Franca Leosini non si occupava di “Storie maledette“.

Mazzoni , per avere una mano nella sua nuova impresa, pensò a me, suo ex antagonista politico quando ero stato capo della redazione napoletana de “l’Unità” ma soprattutto suo diretto concorrente pilotando la fortunata impresa di “Paese sera” (fortunata perché l’esordio sulla piazza napoletana era stato favorito, non poco, proprio da alcuni giorni di assenza del “Mattino” nelle edicole a causa di uno sciopero dei giornalisti contro di lui quando ne era direttore). Mi chiamò a Bologna, dove mi trovavo da un paio d’anni per dirigere una emittente televisiva regionale creata dal Partito Comunista emiliano come esperimento per un eventuale progetto nazionale antagonista alla Rai, allora dominata da Democrazia cristiana e Partito socialista . «Ma che cavolo fai a Bologna?! Torna a Napoli. Vieni a darmi una mano a fare questo nuovo giornale che ho fondato. Un giornale come “Paese sera“. Due edizioni: mattina e pomeriggio-sera. Ma io devo fare anche l’editore, ho bisogno di un vice direttore».

Replicai con franchezza che le mie idee politiche non erano cambiate e non erano compatibili con le sue. Mi rispose che le sue, invece, erano cambiate. E comunque voleva fare un giornale di cronaca e molto puntato sullo sport.

E proprio lo sport diventò uno dei punti di forza del “Giornale di Napoli“, grazie anche – chi lo avrebbe mai immaginato –  a Diego Maradona. Perché lui ci mise la faccia e soprattutto la voce. Il merito di questo straordinario acquisto fu del redattore capo Antonio Sasso e della piccola squadra di giovanissimi redattori e collaboratori che aveva messo insieme per formare la redazione sportiva. Conquistarono la generosità di quel campionissimo, che accettò la proposta di venire il lunedì mattina presto in redazione, dopo ogni partita casalinga del Napoli, a rispondere alle telefonate dei lettori per commentare la partita domenicale del Napoli. 

Diego arrivava da solo, in una Fiat 500, nella stradina dietro la Riviera di Chiaia, dove erano gli uffici della nostra redazione, che affacciavano sull’enorme capannone con vista sulla tipografia e sulla rotativa. 

Per un’ora rispondeva pacatamente, al tempo stesso con entsiasmo e cortesia, ai tifosi anche quando magari ripetevano le stesse domande o, esausti dall’intasamento delle due linee telefoniche a disposizione di questa diretta senza immagini, si limitavano a un saluto affettuoso. Gli si leggeva in volto che gli piaceva questa prova di affetto, questo contatto umano che ricambiava con  affettuosa generosità. Poi salutava e risaliva sulla sua Cinquecento, che era il mezzo migliore per proteggersi dall’assalto dei tifosi: nessuno avrebbe immaginato che il campione milionario viaggiasse, da solo, senza scorta, nella più modesta delle utilitarie.

Ci fu chi insinuò, incredulo di tanta generosità, che quella voce al telefono non fosse di Maradona ma di un imitatore. Perciò nella edizione del pomeriggio del giornale accompagnavamo ogni volta il resoconto di questa diretta senza tv con una documentazione fotografica che confermasse l’autenticità del regalo che questo campionissimo, campionissimo anche della generosità, faceva non solo al nostro giornale, ma soprattutto ai napoletani. Anche a quelli che non avevano i soldi per procurarsi un biglietto e vederlo giocare allo stadio “San Paolo”. Che, ora, sarebbe giusto intitolare al suo nome. 

 

Commenta per primo

Lascia un commento