“Democratica” e “l’Unità”: pacco, contro pacco e paccotto

di ENZO GHIONNI*– Il nuovo giornale del PD, “Democratica”, dimostra che il vecchio adagio ”a tutto c’è un limite” è stato superato. Ci sta che un giornale di partito perda la propria funzione di strumento di comunicazione, soprattutto se il suo segretario preferisce mezzi alternativi di propaganda; ci sta un po’ di meno che i soci del giornale del più grande partito italiano fossero soggetti privati, con altri interessi, ma era strumentale al vezzo di sostenere che il giornale del partito non fruisce dei contributi pubblici all’editoria. Ci sta che chi disse che grazie a lui il giornale tornava in edicola con un progetto industriale al passo con i tempi lo abbia chiuso; e ci può anche stare che quel progetto industriale nascesse da un importante taglio redazionale, favorito da prepensionamenti e altri ammortizzatori sociali – sempre con soldi pubblici (ma chissà perché imbarazzano meno, nonostante si sia trattato di trasformare dei lavoratori in disoccupati); ci sta pure che chi decantò quel progetto industriale non abbia detto niente nel momento in cui i conti non sono tornati e i soci hanno deciso di chiudere bottega. Come Grillo, che dice di non essere il responsabile del suo blog, Renzi può dire di non essere responsabile dei destini dell’Unità.

Ci sta di meno, ma molto di meno, che quel giornale sia proprio l’Unità, una parte di storia non solo di un partito, ma del Paese. Ma non ci sta, proprio non ci sta e non ci può stare, che il principale partito italiano mandi a mare un giornale, il suo giornale, con i dipendenti, i suoi dipendenti, per vantarsi di aprirne un altro a pochi giorni di distanza, messo on line sullo stesso sito. E’ un problema di educazione, di rispetto delle regole, non solo quelle civili, ma anche e soprattutto quelle morali.

Il lavoro è un valore, o no? E allora come è possibile che il direttore di Democratica sia Andrea Romano, fino al giorno prima vicedirettore dell’Unità? Il conto di un progetto industriale fallito lo hanno pagato in parte i soci, in parte lo Stato, molto i dipendenti che avevano creduto nel progetto di Renzi. Ma non è possibile che mentre si presenta, in silenzio, con la mano destra il conto di un fallimento, con la mano sinistra si agiti il megafono per l’ennesimo annuncio di innovazione.  E in un assordante silenzio che mortifica il lavoro dei giornalisti e l’intelligenza degli italiani.

*da Editoria.tv

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