DA CHE PARTE ARRIVA IL “FUOCO AMICO” SULLE PRIMARIE DEL PD

di STEFANO CLERICI – Chissà perché tutti, ma proprio tutti, i candidati alla segreteria del Pd appaiono quasi terrorizzati all’idea che le prossime (alla buon’ora!) primarie possano trasformarsi in una sorta di referendum pro o contro Renzi. Il quale, pur non essendo personalmente in corsa, resta certamente il convitato di pietra dell’evento. Forse il motivo di tanta (vera o presunta) paura sta nel fatto che molti si ostinano ancora, per convinzione o incomprensibile opportunismo, a negare l’evidenza. Ovvero che, ebbene sì, è stato Renzi – ma soprattutto il renzismo – a portare alla disfatta il Pd o, se preferite, il centrosinistra. Sono i numeri a dirlo. Lasciamo perdere le percentuali (perché un po’ falsate dalle diverse leggi elettorali con cui siamo andati alle urne) e ragioniamo, invece, in termini di voti assoluti. Ebbene, nel “trionfo” del mitico 40% alle europee 2014 (grazie anche, se non soprattutto, agli 80 euro) il Pd di Renzi prese circa 11 milioni di voti. Ovvero circa 2 milioni di voti in più (o appena uno in più, se consideriamo la coalizione e non il solo Pd) di quelli ottenuti da Bersani nel febbraio di un anno prima, quando si parlò di “non vittoria” e finì col governo Letta e il successivo “stai sereno Enrico”… Ma oltre un milione di voti in meno (addirittura tre in meno, se consideriamo l’intera coalizione di centrosinistra) di quelli che conquistò il Pd di Veltroni nel 2008, pur perdendo lo scontro con Berlusconi.

Poi, sei mesi fa, a mettere la croce sul simbolo del Pd di Renzi sono stati poco più di sei milioni di italiani: DUE MILIONI IN MENO di quando regnava il bolscevico Bersani, ben SEI MILIONI IN MENO di quando regnava l’”americano” Veltroni e CINQUE MILIONI IN MENO da quell’unico successo renziano.

Insomma, in pochi anni, tra elezioni politiche, amministrative e referendum la sinistra (o il centrosinistra, se preferite) ha preso una serie di sberle che qualsiasi segretario di partito, in qualsiasi parte del mondo occidentale, se ne sarebbe andato a meditare in un monastero tibetano dopo aver chiesto scusa ai suoi elettori e fatto voto di silenzio vita natural durante.

E invece che ha fatto l’Attila fiorentino? S’è ostinato a fare il segretario-ombra e ha lasciato – per orgoglio e miopia politica – che questo paese finisse nelle mani di Salvini, consigliandoci addirittura di sederci tranquillamente sul divano di casa a vedere il film dell’annunciata catastrofe nazionale sgranocchiando pop-corn.

Sei mesi fa, quando il presidente della Repubblica Mattarella gliene offrì l’occasione, se il Pd avesse fatto seria e lungimirante politica anziché infantile e rancorosa ostruzione, a quest’ora – dato assodato e incontrovertibile – Salvini non sarebbe nella stanza dei bottoni e non avrebbe combinato tutti i danni che ha combinato, sta combinando e minaccia di combinare. Se i variegati e inesperti Cinquestelle (che – piaccia o non piaccia – hanno in pancia la gran parte dei voti che furono del Pd) non fossero stati gettati nelle braccia della Lega, sono certo che non avremmo avuto naufraghi disperati lasciati in mezzo al mare, uomini, donne e bambini gettati da un giorno all’altro in mezzo alla strada, il disprezzo di tutti gli altri paesi europei, i nostri risparmi in pericolo, la licenza di uccidere e quant’altro di peggio si potrà inventare quest’uomo che s’atteggia a padrone del paese e pretende di parlare a nome di sessanta milioni di italiani quando, cifre alla mano, l’ha votato sì e no un italiano su dieci. Al massimo due su dieci, se gli ultimi sondaggi dovessero rivelarsi azzeccati

Se proprio vogliamo parlare di “fuoco amico”, diciamo le cose come stanno. Il “fuoco amico” è stato quello di Matteo Renzi. Checché ne dica lui, il lanciafiamme l’ha usato eccome. Ma contro i suoi elettori, bruciando milioni e milioni di consensi sull’altare del suo sfrenato narcisismo e calpestando, con leggi come il jobs act, i più elementari diritti dei lavoratori conquistati in decenni di durissime battaglie.

E di tutto ciò non si vuole parlare, con spietata franchezza, alle primarie? Come si può ricominciare e costruire un futuro se non si fanno prima i conti con il passato? Qualcosa da salvare probabilmente c’è, ma di tutto il resto bisogna fare piazza pulita. Non è più tempo di buonismo e d’indulgenza. Altrimenti il sogno di milioni di italiani di portare – o meglio riportare – al governo una sinistra riformista è destinato a rimanere un sogno. Con tanti ringraziamenti da parte di Salvini.

 

PSQueste riflessioni valgono anche per quell’altro pezzo di sinistra che si è dato appuntamento domenica 16 dicembre a Roma sotto le insegne (ammainate) di “Liberi e Uguali”, “Mdp”, “SI”, che in parlamento continua a marciare passivamente accodato a quei parlamentari del Pd di nomina renziana che privilegiano come bersaglio della loro sconclusionata opposizione i Cinquestelle invece che la Lega di Salvini.

Commenta per primo

Lascia un commento