Colpo di scena per il delitto di Garlasco: il Dna non sarebbe di Stasi ma di un altro giovane

garlascoLa famiglia di Alberto Stasi, condannato in via definitiva per l’omicidio di Chiara Poggi (i due in una foto di 11 anni fa) avvenuto a Garlasco il 13 agosto 2007, chiederà la riapertura del processo sulla base dei risultati di una nuova perizia, secondo la quale le tracce di dna rinvenute sotto le unghie della ragazza non sono di Stasi. Lo riporta oggi il Corriere della Sera, precisando che la madre di Stasi, Elisabetta Ligabo’, ha fornito al giornale i risultati di nuove analisi condotte dalla difesa.

Alberto Stasi esce dal palazzo della Corte di Cassazione a Piazza Cavour, Roma, 17 aprile 2013, al termine dell'udienza per l'omicidio di Chiara Poggi. Stasi. ANSA/ MASSIMO PERCOSSI
Alberto Stasi nel palazzo della Corte di Cassazione  il 17 aprile 2013. (Foto di Massimo Percossi per Ansa)

Alberto Stasi è detenuto nel carcere di Bollate da un anno. Oggi ha 33 anni, all’epoca dei fatti ne aveva 24. Il 12 dicembre del 2015 la Cassazione ha confermato nei suoi confronti la condanna a 16 anni per omicidio, mettendo la parola fine a una vicenda processuale durata 9 anni, nel corso della quale Stasi è stato anche due volte assolto. Ora il caso potrebbe riaprirsi. In base alle nuove analisi, condotte da un genetista su incarico dello studio legale Giarda, che si è affidato ad una società di investigazioni di Milano, quel dna dovrebbe essere di un giovane che conosceva Chiara Poggi.

“C’è una sentenza definitiva e per noi quella vale. Se la difesa di Stasi ha un nome, lo faccia pubblicamente, senza nascondersi dietro un dito”. E’ quanto ha detto Rita Preda, la madre di Chiara Poggi, secondo quanto riferito all’ANSA dall’avvocato di parte civile Gian Luigi Tizzoni. Il quale non crede in una riapertura delle indagini sul delitto di Garlasco, e crede poco anche al’ipotesi che nei confronti di Alberto Stasi, condannato definitivamente a 16 anni di carcere, sia possibile eventualmente prospettare il concorso nell’omicidio con altri. “La questione del dna trovato sotto le unghie di Chiara è già stata superata dalla Corte d’Assise d’Appello e della Cassazione – ha dichiarato il legale – In ogni caso, questo indizio da solo non farebbe venir meno tutte le altre prove a carico di Stasi, semmai potrebbe prospettare, ma è un’ipotesi a cui non credo, il concorso di Stasi con altre persone”.
Il legale ha ricordato che la difesa di Stasi si era sempre opposta all’analisi di quelli piccoli frammenti di Dna rinvenuti sotto le unghie di Chiara e che inizialmente gli investigatori non erano riusciti ad analizzare. La Corte d’Assise d’Appello di Milano nel processo-bis, accogliendo una istanza degli avvocati dei Poggi e del pg, aveva disposto nuova perizia, affidata al professore Francesco De Stefano.
Per il perito dei giudici le analisi anche se avevano portato a evidenziare solo 5 marcatori tutti compatibili con quelli di Stasi, non sono stati considerati sufficientemente attendibile in quanto erano necessarie almeno 9 corrispondenze. De Stefano poi, in aula durante la sua deposizione, aveva sostenuto che l’esistenza sulle unghie di Chiara di due tracce di dna maschile diverse da quelle di Stasi non era “scientificamente sostenibile. Non è un dato scientifico”.

ANALOGIE CON IL CASO BOSSETTI? – Sull’argomento è stato intervistato da Radio Cusano Campus, per la rubrica “Legge e Giustizia”, il biologo  Marzio Capra, ex Ris, che lavora ai Laboratori di Genetica forense dell’Università degli Studi di Milano ed è  consulente della famiglia Poggi, oltre che della difesa di Massimo Bossetti.

“Erano elementi conosciuti – dice – e mi aspettavo che in prossimità della scadenza dei termini per ulteriori ricorsi giudiziari ci sarebbe stata un’offensiva dal punto di vista mediatico. Non c’è nulla di nuovo rispetto ad evidenze processuali già emerse nel contradditorio. Fin dall’inizio i sospetti si sono concentrati su Alberto Stasi. Lo stesso condannato ha avuto la possibilità di nominare consulenti che lo affiancassero durante gli accertamenti richiesti dall’autorità giudiziaria. Quando ci sono degli esperti che si confrontano non accade mai che abbiano lo stesso punto di vista sui risultati ottenuti dalle analisi. È nel contradditorio che si formula il convincimento dei giudici. Nel caso Stasi  – prosegue Capra – abbiamo sempre richiesto, sin dall’inizio, di effettuare alcuni approfondimenti, anche per le tracce più piccole. Avevamo chiesto di analizzare anche una piccola struttura pilifera trovata nelle mani della ragazza. Il dna è una sorta di fotografia. A volte può essere chiara, altre volte sfuocata. Avevamo una foto altamente sfuocata di questo dna presente. L’avessimo analizzato all’inizio, tra il 2007 e il 2009 invece che nel 2014, forse avremmo avuto un quadro più chiaro. Il dna, però, non è stata la prova che ha portato Stasi alla condanna. Anzi, è stata l’assenza del dna di chiara Poggi sulla scarpe di Stasi ad essere determinante: non era possibile camminare in una casa piena di sangue senza sporcarsi e senza riportare tracce di dna”.

Diverso il caso Bossetti: “Non è possibile che uno non veda le differenze. Da una parte abbiamo una persona sospettata come Stasi che sin dall’inizio ha potuto far partecipare i propri esperti alle indagini. Dall’altra c’è una persona presa anni dopo l’omicidio di Yara Gambirasio, con esperti nominati quindi successivamente ed ai quali è stato negato qualsiasi accesso anche ai reperti. Sono, nel processo Bossetti, un consulente con armi spuntate, non ho potuto vedere i reperti ma limitarmi ad agire su quelle carte che mi sono state date.  In ogni caso il dna, di per sé, non può essere la prova da sola della colpevolezza di un soggetto. Il dna, per sua stessa natura, è una molecola altamente trasferibile. La presenza del dna di una persona su una vittima non può far dire automaticamente che  quella persona l’abbia toccata. Il dna si può trasferire anche tramite terzi, proprio per le sue caratteristiche”.

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