ORA DI PUNTA/ Liti di bassa Lega. O c’è di più?

di GIOVANNI PEREZ – Continua a destare una certa curiosità la strana polemica seguita all’annuncio di Roberto Maroni di rinunciare a ricandidarsi alla carica di presidente della Regione Lombardia. Due in particolare i motivi che sono sembrati particolarmente anomali: in primo luogo la scelta di Maroni di non voler spiegare i motivi della sua decisione;  in secondo luogo, ancora meno comprensibili, i commenti insinuanti espressi a bassa voce dal segretario della Lega (ex Nord) Salvini e dal leader di Forza Italia. Tutti sembravano, o fingevano, di non capirla, anche se la mossa di Maroni era intuibile, almeno per coloro che riescono ad individuare, anche da pochi segnali, le manovre di corridoio della politica.
Ed ecco spiegato l’arcano. Una parte della Lega, lo zoccolo duro legato al tradizionale Carroccio (con ampolle di acqua alle sorgenti del Po, giuramenti di Pontida, eccetera) non ha gradito la svolta impressa da Salvini al partito. Dopo aver modificato la scritta “Lega Nord” in semplice “Lega”, Salvini per giunta sta manifestato chiaramente l’ambizione di fare della “Lega” un partito nazionale,  ma per giunta aperto ai “terroni”, il massimo dell’eresia. Quello che ha in mente Salvini, e non ne fa mistero, sarebbe un partito non più strettamente ”lombardo” o comunque del nord Italia, ma aperto a tutti, anche a Roma “ladrona”: una svolta inaccettabile per i tradizionalisti, che a questo punto hanno detto basta e deciso che era giunta l’ora di voltar pagina,  passando l’incarico di segretario del partito a Maroni, abile politico e affidabile leghista della “prima ora”.
I vecchi leghisti, ammaestrati dalle dolorose esperiente del passato, hanno anche deciso di muoversi con prudenza, cercando di evitare di perdere consensi: il “cambio” quindi non deve essere traumatico, ma da effettuarsi con il minimo rumore e per gradi. Da qui la decisione di Maroni di non ricandidarsi: rappresenta quindi il primo passo dell’auspicato cambiamento.
Per quanto riguarda il disappunto di Berlusconi, saputo,  grazie alle “soffiate”  dei suoi fidi, il perché della rinuncia di Maroni alla presidenza della Regione Lombardia, ha reagito a modo suo. Poiché il cambio al vertice della Lega non gli piaceva, ha cercato di entrare in gioco contro Maroni al fianco di Salvini. Il padrone di “Forza Italia” considera Salvini “un cane che abbaia, ma non morde”; quindi utile per portare voti al centrodestra, ma non all’altezza di soffiargli la leadership della coalizione.  Diversa la valutazione su Maroni: Berlusconi lo ritiene un pericoloso concorrente; lui sì, se entrasse in gioco, capace di imporsi nella corsa a Palazzo Chigi.
Saranno fondate queste nostre supposizioni? Bisogna aspettare gli sviluppi della situazione, viste le formali rappacificazioni seguite al gran gesto e all’intervista dello stesso Maroni al “Foglio”, in cui si definisce leninista in contrapposizione allo “stalinista” Salvini.

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