I “SOCIAL” SEMPRE PIU’ GOGNE MEDIATICHE O PALESTRE DI CONFORMISMO

ORA di puntadi ENNIO SIMEONE –

Per due giorni, dopo Capodanno, il web è stato tenuto in fibrillazione da messaggi di Claudio Lippi che invocavano un contatto urgente con Matteo Renzi. Poiché il cantante-giudice-opinonista televisivo era ricoverato in ospedale a Maratea dopo aver dovuto rinunciare per un malore a partecipare allo speciale di Rai1 della notte di San Silvestro, erano stati  dati a quegli appelli vari significati, ma soprattutto due: che volesse denunciare un caso di malasanità nella città lucana o che volesse rivelare i nomi dei colpevoli dell’anticipata mezzanotte e della bestemmia via sms trasmessi dall’emittente pubblica. Niente di tutto questo. Lippi ha chiarito che, come ha fatto con altri presidenti del Consiglio, era ed è sua intenzione mettersi in contatto con Renzi per farsi rivelare le tecniche comunicative grazie alle quali riesce a trasformare in rivoluzionarie realizzazioni del governo i suoi slogan propagandistici e a far passare per gufi coloro che non se li bevono. Non riuscendo a stabilire questo contatto ci ha provato attraverso Facebook con un solo messaggio, ma qualche abile manipolatore, un burlone o un hacker aveva trasformato un suo occasionale messaggio in ripetute e tragicomiche implorazioni di soccorso.

Subito dopo, la rete è passata da quella singolare, anche se piuttosto innocua, distorsione alla trasformazione in un tribunale speciale per iniziativa di Ilaria Cucchi, sorella del giovane romano che, nelle ore in cui doveva essere in custodia protetta nelle mani di uomini dello Stato in attesa di verifica di sue eventuali responsabilità per presunto spaccio di droga, subiva maltrattamenti che lo hanno portato a morte violenta. Ilaria Cucchi ha pubblicato su Twitter la foto in costume da bagno, con nome e cognome, di un carabiniere che è inquisito per il pestaggio inferto a Stefano Cucchi mentre era in detenzione preventiva, additandolo come assassino del fratello. Quando si è resa conto di aver solleticato i più bassi istinti  che si manifestano sul web e un’ondata di insulti e di violente minacce contro quel carabiniere e la sua famiglia, Ilaria Cucchi ha ribadito di non volere quell’effetto e ne ha preso le distanze. Ma già aveva trovato una imitatrice in Lucia Uva, sorella di Giuseppe Uva, un’altra vittima, sei anni fa a Varese, delle “maniere forti” cui si abbandonano in alcuni casi gli uomini in divisa.

Sono due casi emersi alla ribalta delle cronache in questi giorni, ma purtroppo è ormai dilagante l’uso incontrollato, irresponsabile dei social network, invasi quotidianamente dalla violenza verbale, dalla volgarità, dal linguaggio scurrile, dalle falsità contrabbandate per informazione, e altrettanto voluminosamente dalla stupidità, dall’esibizionismo, dalla vanità, dal servilismo e dall’ipocrisia contrabbandata per simpatica socializzazione. Ed è scoraggiante constatare che pochi si sottraggono alla tentazione di partecipare, contribuendo ad accreditarlo, a questo sconfortante teatrino, anche quando si trasforma in una palestra di conformismo o in una gogna mediatica.

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