Referendum e taglio dei costi della politica: il M5s propone di dimezzare le indennità parlamentari, risparmiando molto di più. Il Pd non ci sta

ParlamentoREDAZIONE– E’ arrivata ieri alla Camera (con una rumorosa eco oggi nelle piazze) l’annunciata risposta del Movimento 5 stelle allo slogan principale dei sostenitori del Sì al referendum sulla riforma costituzionale, cioè la “riduzione del numero dei politici in Senato”.  E’ una risposta, quella dei grillini, che contrappone una riduzione dei costi ben maggiore di quella vantata con la trasformazione (non l’abolizione!) del Senato: consiste nella proposta di dimezzamento dello stipendio ai parlamentari, con un risparmio previsto di 87 milioni l’anno contro i presunti 50 milioni ricavabili, nella migliore delle ipotesi, dalla trasformazione del Senato in camera di secondo livello, i cui membri verrebbero nominati  tra i consiglieri regionali e i sindaci e non più eletti dai cittadini.

Ma a frenare l’iter della norma sarebbero pronti gli altri gruppi, e in particolare quello del Pd, che adotterà – se non vi sarà un retromarcia in extremis – una tattica dilatoria, chiedendo che la proposta M5s – prima firmataria la deputata Roberta Lombardi – venga prima sottoposta all’esame della commissione, in modo da farla slittare a dopo il referendum. In ogni caso il Pd si è già dichiarato contrario al taglio delle indennità parlamentari.

Comunque il testo arriva in Assemblea senza il mandato al relatore, dopo che in commissione non è stato possibile raggiungere un accordo su un testo unico sul quale dibattere e votare.

Matteo Renzi a sua volta ha cercato di parare il colpo  dicendo di  condividere l’idea di ridurre i costi della politica, ma “l’importante è vedere come”. E fa un esempio: legare l’indennità alla presenza dei parlamentari in aula e in commissione.  Cosa già operativa da anni e consistente in una sottrazione del gettone di presenza. E ha lanciato una frecciatina al vice presidente M5s della Camera, Luigi Di Maio, sostenendo che ha fatto registrare solo il 37% di presenze in aula. Naturalmente Di Maio ha avuto buon gioco nello smentirlo, ricordando che il lavoro di un parlamentare non si svolge solo nell’aula di Montecitorio o di Palazzo Madama.

Commenta per primo

Lascia un commento