PRIMIPIANI/ di RAFFAELE CICCARELLI/ Nella tragedia dei profughi la lezione arrivata dallo sport

Raffaele Ciccarellidi Raffaele Ciccarelli/

Viviamo tempi cupi, in cui i valori sociali sembrano perduti, in cui sempre più spesso si parla di condivisione e convivenza, salvo poi agire nell’egoismo più accentuato. Tutto questo è provocato dalle tante incertezze che ci procura la situazione interna e internazionale: nessuno lo dice, ma ormai viviamo in un periodo di guerra, magari non convenzionale, ancora più subdola perché latente: come chiamare il terrore strisciante che quasi quotidianamente ci circonda, con le barbarie dell’Isis, i nostri giovani che muoiono per le strade sempre più vittime della mancanza di valori, la dignità di un lavoro stabile che non si trova, vittime di un’oligarchia di potenti tesi solo ad arricchirsi, con le continue difficoltà a vivere una vita decente?

Il terrore instillato nel mondo dal maggior atto di guerra dell’ultimo ventennio, l’attacco alle Twin Towers statunitensi del 2001, che sanciva l’inizio della “Guerra di Religioni” tra Oriente e Occidente, sta raggiungendo il suo scopo, quello di destabilizzare la nostra società nei suoi fondamenti etici. Solo noi stessi possiamo opporci a questa deriva, lo sforzo di volontà deve essere grande. L’immane tragedia che ci sta coinvolgendo ai giorni nostri è quella dei profughi che arrivano dalla Siria e dal Medio Oriente, fiumana di disperati disposti a sacrificare la loro vita nel tentativo di regalarsi una speranza. Stare a discutere sulla necessità di aiutare questi profughi è mero esercizio di retorica, un discorso che andrebbe intavolato solo sul modo, non sulle opportunità.

Anche sulla disperazione impera la politica, intanto ci rimbalzano le immagini di questa sofferenza immane, in cui appare impossibile non sentirsi coinvolti, soprattutto di fronte alla sofferenza dei bambini. Se tutti nasciamo innocenti, perché questi piccoli devono soffrire così tanto? E morire? Resterà per sempre impressa nelle nostre menti l’istantanea del piccolo Aylan Kurdi sorpreso nel suo sonno eterno lambito dall’acqua, o della piccola bambina siriana che gattona davanti al muro di scudi e di apparente insensibilità dell’Occidente, lei, minuscolo batuffolo simbolo di innocenza, di fronte a quei “giganti”, pur attoniti di fronte a lei.

Immagini toccanti, insieme ad altre che hanno trasmesso solo sdegno, come quella della reporter ungherese Petra Laszlo che sgambetta i profughi in fuga. Quale raptus può avere attraversato la mente di questa donna, apparentemente insensibile, lei stessa madre, che dovrebbe, quindi, avere innato il senso protettivo materno? Come si può restare indifferenti guardando gli occhi pieni di terrore di un padre che protegge il proprio figlio in lacrime? In questo mare di desolazione e di aridità morale, in cui una donna e madre è capace di trasformarsi in strega cattiva, un barlume di speranza pure esiste, e in questo caso arriva dallo sport. Osama Abdul Mohsen, il siriano sgambettato, in patria era un allenatore di calcio, e proprio il calcio si è mobilitato per aiutarlo: prima in Italia, con l’interessamento dell’Associazione Allenatori presieduta da Renzo Ulivieri, poi in Spagna, dove  è stato assunto per lavorare nella cantera del Getafe. Spesso si dice che lo sport è metafora della vita, una volta tanto c’è la dimostrazione che la vita è dallo sport che potrebbe trarre esempi per dimostrarsi umana.

 

 

Raffaele Ciccarelli

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