OSSERVATORIO ECONOMICO/ Le preoccupazioni della Bce e il “Minsky Moment”

di MARIO LETTIERI* e PAOLO RAIMONDI** 

Christine Lagarde sta prendendo confidenza con il suo nuovo ruolo alla Banca centrale europea. Nel suo discorso, tenuto davanti al Parlamento europeo, riunito a Bruxelles per discutere il bilancio annuale 2018 della banca, la governatrice ha espresso per la prima volta la sua valutazione sulle politiche monetarie accomodanti, il cosiddetto quantitative easing.

«Dal 2014 la politica della Bce – ha affermato – si basa su quattro elementi: un tasso d’interesse negativo, l’acquisto di asset (titoli di vario tipo), la forward guidance (le indicazioni prospettiche delle intenzioni della Bce) e le operazioni mirate di credito». Sono politiche che hanno favorito la stabilità del sistema e lo avrebbero protetto da “venti contrari globali». Ma, ammette Lagarde, «quella monetaria non può e non deve essere la sola politica disponibile. Più a lungo si continua con le politiche accomodanti, più grande diventa il rischio di essere colpiti da qualche effetto collaterale».

La Bce è consapevole che il tasso d’interesse basso produce effetti sui redditi, sulle valutazioni degli asset, sulla propensione al rischio e sui prezzi degli immobili. Di conseguenza si “monitorizzano” i menzionati possibili effetti negativi per evitare che pregiudichino le politiche concernenti il credito, l’occupazione e i salari.

La governatrice, perciò, chiede che siano messe in campo politiche fiscali e strutturali adeguate. Anche lei, come da un po’ di tempo fanno tutti gli attori economici, sostiene il “Green New Deal“ europeo e i necessari massicci investimenti finanziari occorrenti per la transizione ecologica.

Inoltre, tra le grandi sfide che anche la Bce dovrà affrontare mette la digitalizzazione del sistema. Al riguardo è stata creata una task force per studiare la realizzazione di una moneta digitale della banca centrale e testarne il funzionamento nella pratica.

Come si può notare, le istituzioni europee preferiscono esprimere le proprie preoccupazioni sotto voce. Dall’altra parte dell’Atlantico, invece, nonostante le sbandierate statistiche ufficiali, si parla di nuovi rischi di crisi finanziaria con toni più accessi.

Nel dibattito è riapparsa la paura del cosiddetto “Minsky Moment”, quella situazione che si crea quando il sistema va in tilt perché gli investitori si sono spinti troppo avanti con le speculazioni aggressive, facendo troppi debiti e assumendo rischi molto alti. Anche il Fmi ha recentemente evidenziato questo pericolo. In passato è stato oggetto di riflessioni anche nei forum economici della stessa Bce.

Hyman Minsky è un economista americano della scuola di Schumpeter prima e poi di quella post-Keynes, che ha studiato la fragilità del sistema finanziario rispetto all’emergere delle bolle speculative. E’ stato un economista indipendente, fuori dal coro, e per questo poco considerato dall’establishment prima della sua morte avvenuta nel 1996. Ha avuto un legame personale anche con l’Italia e in particolare con la città di Bergamo.

In certi periodi di espansione finanziaria, quando i flussi di cassa superano le quote necessarie per pagare i debiti, scatta una grande propensione alla speculazione. Ciò mette in moto aspettative di aumenti dei valori degli asset e dei guadagni, che a loro volta spingono verso un’ulteriore espansione debitoria. Questo processo finisce quando i prezzi, artificialmente gonfiati, cominciano a scendere. Si crea, quindi, una spirale discendente che può portare al crollo dei mercati, con effetti negativi sull’economia reale. Nei decenni passati si è sperimentato più volte e in modo devastante con la Grande Crisi del 2008.

Negli Usa, tale processo è ripartito nei mesi passati con il quantitative easing n. 4 delle Federal Reserve. In verità, è un rischio globale, tenuto conto che, a livello mondiale, i bilanci delle banche centrali sono passati dai 5.000 miliardi di dollari del 2007 ai 21.000 miliardi di oggi. Inoltre, nello stesso periodo la capitalizzazione globale delle borse è salita da 65.000 a 85.000 miliardi di dollari. E’ quasi l’equivalente dell’espansione complessiva dei bilanci delle banche centrali.

L’economista Minsky affermava anche che i mercati hanno una memoria molto corta e che volutamente vogliono convincersi che ogni volta sarà differente e che le crisi del passato non si ripetono. Sono illusioni che, purtroppo, incidono sulla vita di interi paesi e su quella di milioni di famiglie.

Senza essere pessimisti, lo scenario mondiale non sembra roseo, soprattutto se si considera che in aggiunta ai rischi citati vi sono gli effetti negativi dell’epidemia esplosa in Cina. Del resto nel mondo globalizzato tutto è concatenato e non vi sono zone franche per nessuno.

*Mario Lettieri, è stato sottosegretario all’Economia del governo Prodi

**Paolo Raimondi, economista

 

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