OSSERVATORIO AMERICANO/ Rifugiati siriani: la lezione canadese

Domenico Maceridi DOMENICO MACERI* – 

“Siete salvi e a casa”. Con queste parole il primo ministro canadese Justin Trudeau ha accolto un gruppo di rifugiati siriani appena scesi dall’aereo. Il governo canadese ha deciso di accettarne 25.000. La copertura delle spese per ognuno dei rifugiati si aggira sui 28.000 dollari canadesi (20.000 americani), fondi raccolti da contributi privati.

Il governo americano ha anche annunciato che ne accetterà 10.000, ma il piano del presidente Barack Obama è stato ostacolato dalla retorica anti-musulmana dei candidati alla nomination repubblicana e soprattutto dai governatori repubblicani del Paese. Spicca fra questi il Texas dove il governatore  Greg Abbott ed altri leader repubblicani dello Stato avevano chiesto all’amministrazione di Obama di  vietare l’entrata di rifugiati siriani. La paura  dopo gli attacchi del mese scorso a Parigi ha spinto il governatore a denunciare il governo federale per bloccare l’entrata a Houston di tre adulti e sei bambini siriani.

Il giudice federale David Godbey ha respinto la richiesta spiegando che il Texas non aveva offerto “prove che avrebbero messo in pericolo la sicurezza dei cittadini dello Stato”. Il giudice ha continuato a spiegare che lo Stato non ha  dimostrato che “dei terroristi si siano infiltrati nel programma dei rifugiati né tantomeno che i rifugiati in questione rappresentino alcun pericolo per la sicurezza”. Un giudizio razionale che conferma le procedure del governo americano di sottoporre i rifugiati a controlli severi imposti a coloro che chiedono di entrare negli Stati Uniti. Si tratta di un processo che dura due anni, alla fine del quale si arriva alla decisione di ammettere o no.

Ciononostante la destra si oppone all’entrata di rifugiati siriani, in  parte perché contraria a qualunque cosa Obama cerchi di mettere in pratica e in parte per la paura del terrorismo. Lo ha detto in modo dirompente Donald Trump quando ha annunciato che bisogna bloccare l’entrata di tutti i musulmani finché non si possa fare chiarezza sulla situazione.

Una dichiarazione condannata da quasi tutti, anche dalla leadership repubblicana. Bisogna però ricordare che altri candidati alla nomination repubblicana avevano in precedenza suggerito orientamenti simili, anche se in maniera meno stridente. Ben Carson e Ted Cruz, ambedue candidati alla nomination, che danno filo da torcere a Trump, avevano espresso la loro opposizione all’entrata di rifugiati. Carson aveva etichettato i musulmani come “cani rabbiosi” che bisogna mantenere lontano dal vicinato. Anche Jeb Bush e Cruz hanno dichiarato che bisogna dare la preferenza ai rifugiati di religione cristiana a scapito dei musulmani.

I rifugiati che scappano dalla guerra civile in Siria sono più di quattro milioni. Alcuni Paesi ne hanno accettato un grande numero. La Turchia ne ha accettati quasi due milioni, il Libano più di un milione, la Giordania 600.000, gli Emirati Arabi Uniti 250.000, e l’Egitto 130.000. I Paesi europei hanno anche loro aperto le porte ma ovviamente i numeri sono inferiori data la lontananza. La Germania ha ricevuto 100.000 rifugiati siriani, la Svezia 64.000.  L’Arabia Saudita si è però rifiutata di accettarne.

La paura in alcuni casi si è impossessata della politica, specialmente dopo l’eccidio a Parigi. Si dimentica che i responsabili del massacro erano cittadini europei. La paura ha avuto un certo effetto  anche in Canada, ma con l’elezione di Justin Trudeau queste voci anti-rifugiati si sono spente. In America invece, il clima politico è molto diverso, in grande misura per la retorica tossica che emerge dai candidati alla nomination del Partito Repubblicano. Una fetta notevole dell’elettorato americano crede  che la risposta al terrorismo sia di reagire mediante sforzi militari. Dimenticano che questo approccio si è già provato con la presidenza di George W. Bush. Iniziare guerre nel Medio Oriente non elimina il terrorismo ma lo alimenta. Bisogna creare alleanze con i Paesi della zona ed altrove e sopratutto finirla una volta per tutte con la tesi che siamo in guerra con la religione musulmana. Un piccolo passo in questo approccio include la generosità verso coloro che sfuggono alla guerra.

Accogliendo i rifugiati all’aeroporto Justin Trudeau ha detto che i passeggeri appena arrivati nel suo Paese dimostrano al mondo “come si aprono i cuori e si accolgono persone che scappano da situazioni estremamente difficili”. Un messaggio utile per tutti i Paesi, specialmente quelli che di questi giorni si preparano a festeggiare la nascita di Gesù, figlio di una famiglia di rifugiati.
*Domenico Maceri docente di lingue all’Allan Hancock College, Santa Maria, California  (dmaceri@gmail.com)

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