OSSERVATORIO AMERICANO/ Kamala Harris, statunitense a tutti gli effetti, rispecchia le vera immagine di questo paese

di DOMENICO MACERI* – “Questo editoriale è stato usato da alcuni come strumento per perpetuare il razzismo e la xenofobia. Chiediamo scusa”: così ha scritto la direzione della sezione editoriali di Newsweek dopo la pubblicazione di un recente articolo di John Eastman, il quale metteva in dubbio l’eleggibilità di Kamala Harris a vice presidente degli Stati Uniti perché i suoi genitori non sono nati in America. I direttori delle pagine degli editoriali della nota rivista americana, Josh Hammer e Nancy Cooper, hanno continuato a spiegare di non “avere previsto” “la possibile strumentalizzazione” e la “distorsione” del contenuto dell’articolo. Ciononostante l’articolo rimane nel sito Internet della rivista, preceduto, però, dalla nota con le scuse.

Dopo l’annuncio di Biden di avere scelto Kamala Harris come candidata alla vice presidenza (foto) gli attacchi alla senatrice della California erano inevitabili. Insinuare la sua ineleggibilità alla seconda carica più importante degli Stati Uniti ricorda anche le inquietudini di quella parte dei bianchi che vede il proprio potere sfumare. Quando individui di altre etnie e razze e soprattutto quelli legati ad altre nazioni raggiungono i vertici del potere riconfermano però che l’America è un Paese di immigrati e multiculturale.

La Costituzione americana è chiarissima sulla cittadinanza. Il 14esimo emendamento dice categoricamente che chiunque sia nato dentro i confini degli Stati Uniti diventa cittadino americano. Non importa dove siano nati i genitori né il loro status immigratorio e nemmeno la loro cittadinanza. Persino un figlio di clandestini nato in America sarebbe cittadino americano a tutti gli effetti e sarebbe eleggibile alla presidenza. Il padre di Barack Obama era nato in Kenya ma il 44esimo presidente è nato negli Stati Uniti. Persino in casi come quello di Ted Cruz, attuale senatore del Texas, che nella campagna presidenziale repubblicana del 2016 diede filo da torcere a Donald Trump, la costituzione parla chiaro. Cruz è nato in Canada e il padre era cubano. Ciononostante gode della cittadinanza americana perché la madre è nata in America.

In sintesi, la Harris è cittadina per via dello «ius soli» mentre Cruz lo è per lo «ius sanguinis», ambedue riconosciuti dalla legge americana.

La storia ci dice anche che otto presidenti americani hanno avuto almeno un genitore nato in Paesi stranieri. A cominciare da Thomas Jefferson, la cui madre era nata in Inghilterra, fino ad alcuni più recenti come Obama.  E il caso più ovvio è lo stesso Trump, la cui madre è nata in Scozia.

Il presidente Trump ha avuto l’opportunità di fare chiarezza sul caos della cittadinanza di Harris ma rispondendo a domande dei cronisti ha gettato legna al fuoco dichiarando di avere sentito “voci molto serie” sulla dubbia eleggibilità della candidata democratica. L’articolo di Newsweek è stato un facile assist per consentire al  45esimo presidente di rinfocolare dubbi sulla candidatura di Kamala Harris. Non ne aveva veramente bisogno. Va ricordato che parecchi anni fa Trump si era assunto il compito di costringere Obama ad esibire il suo  di nascita per dimostrare che era veramente nato in America.

Attaccare i suoi avversari con insinuazioni, spesso tentando di infangarne la reputazione, è il modus operandi dell’attuale inquilino della Casa Bianca. La verità gli importa poco. Basta buttare palle in aria e aspettare che i suoi fedelissimi le rilancino, convinti anche che se lo dice il presidente deve essere vero. Nel caso di Harris, Trump mira a ricordare che l’America alla quale lui vuole ritornare diventa difficile per la presenza di questi individui non bianchi. Harris è il simbolo più visibile di questa inquietudine al momento per la sua candidatura alla vice presidenza: è una donna non solo afro-americana per via del padre nato in Giamaica, ma anche con radici che affondano anche in Asia poiché la madre è nata in India.

La Harris è un’americana per eccellenza, che ha usato il suo talento e anche la sua fortuna per avvicinarsi alla conquista di una carica governativa così importante. La candidata democratica alla vice presidenza degli Stati Uniti ha segnato una pietra miliare dando anche una chiara dimostrazione che l’America è la terra delle opportunità, riconfermandosi come Paese di immigrati.

Gli immigrati disturbano il presidente Trump. Come va ricordato, li ha chiamati “animali” in alcuni casi e ha persino dichiarato di non capire perché continuano a venire in America da “s….hole countries” (Paesi di m…da) invece che da nazioni nordiche. Gli immigrati causano anche fastidio a molti degli elettori dell’attuale presidente, specialmente quelli con legami in Paesi poveri. Kamala Harris però rappresenta una paura più forte poiché ci ricorda che l’America continua a cambiare e che il ritorno alla grandezza degli Stati Uniti degli anni ’50 auspicato da Trump e incorporato nel suo slogan Make America Great Again (Maga) è impossibile. I quattro anni di un presidente la cui madre era immigrata e la cui moglie è nata in Slovenia sono trascorsi invano. L’America continua a evolversi a mano a mano che membri di gruppi minoritari si integrano sempre di più. Tutte le previsioni ci dicono che il ticket Biden-Harris uscirà vittorioso alle elezioni di novembre. Come ha detto l’ex first lady Michelle Obama, moglie del primo presidente afro-americano nella storia alla recente Convention Democratica, Trump si è rivelato “un incapace” e “il peggior presidente” degli Stati Uniti. Una sconfitta ad opera di Biden, con una vice afro-americana al fianco, sarebbe dolorosa per l’attuale inquilino della Casa Bianca, ma riporterebbe il Paese sulla strada giusta, riflettendo i valori dell’America, che includono i contributi degli immigrati e dei loro figli.

*Domenico Maceri, PhD, è professore emerito all’Allan Hancock College, Santa Maria, California  (dmaceri@gmail.com).

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