OSSERVATORIO AMERICANO/ di D. MACERI/ La stampa, più audience che informazione

Domenico Maceridi Domenico Maceri *- 

“Le domande che ci avete fatto fino al momento ci spiegano perché il popolo americano non ha fiducia nella stampa”. Così tuonava Ted Cruz, farneticante senatore repubblicano del Texas, al terzo dibattito del Gop in Colorado il mese scorso. Altri candidati presenti al dibattito hanno reiterato l’attacco di Cruz. Marco Rubio, senatore della Florida e come Cruz candidato alla nomination, ha affermato anche lui che la stampa pende talmente a sinistra che in effetti funziona “come un superPac per Hillary Clinton”. Altri candidati del Gop hanno anche loro sparato a zero sulla  stampa.
Costoro hanno accusato i tre moderatori di fare domande per istigare risse fra i candidati. In effetti, qualunque scusa è buona per i candidati repubblicani per attaccare la stampa nella convinzione, infondata, degli elettori di destra che i giornalisti e i media in generale pendono a sinistra.
Il ruolo dei giornalisti consiste nell’informare e spingere i candidati a chiarire i loro programmi e il modo di agire in difesa degli elettori. A volte lo fanno soprattutto i giornalisti della carta stampata, mentre quelli televisivi fanno leva soprattutto sui soundbites, sui messaggini telegrafici o sugli slogan. Nel più recente dibattito repubblicano a Milwaukee, Donald Trump, rispondendo a una domanda sul trattato Trans-Pacific Partnership, ha detto che è “un affare terribile” ideato per aiutare la Cina  a “sfruttare tutti”. Il problema è che la Cina non fa parte del trattato, ma il moderatore,  Gerard Baker del Wall Street Journal, non lo ha corretto. Il senatore Rand Paul, repubblicano del Kentucky, non potendone più, è intervenuto correggendo Trump ed il giornalista.

Ed è proprio qui il nocciolo della questione. I candidati repubblicani le sparano grosse cercando di sedurre un elettorato poco informato con affermazioni assurde. Quando i giornalisti non sfidano queste esagerazioni o falsità si finisce spesso in un mondo irreale. Lo si è visto al dibattito di Milwaukee con  la retorica allucinante contro gli immigrati e l’asserzione di Trump di volere deportare gli undici milioni di clandestini. Anche qui i moderatori non hanno sfidato il metodo che il magnate di New York userebbe. Andrebbe di casa in casa? Come li identificherebbe? Che effetto avrebbe su queste famiglie e l’economia americana?
Di nuovo, la mancanza di ulteriori domande per ottenere chiarimenti e di informare il pubblico ha costretto uno dei candidati a fare il lavoro dei giornalisti. John Kasich, governatore dell’Ohio, una delle poche voci  ragionevoli sul palco, ha spiegato che deportare undici milioni sarebbe impossibile anche per il terribile effetto che avrebbe sulle famiglie di questi individui e le loro radici già stabilite nel Paese.
La stampa è divenuta così docile verso i candidati perché i giornalisti sanno che facendo domande serie causeranno la fuga dei politici dai loro programmi. Ce lo ha confermato  Chuck Todd, il conduttore del programma Face the Nation, dicendo che non sfida dei candidati per quanto riguarda la veridicità delle loro asserzioni perché così facendo “non si presenterebbero più ai programmi”.  Bisogna fare audience e siccome Donald Trump garantisce spettatori non lo si può contraddire con i fatti.
I profitti dunque hanno la precedenza e l’informazione viene in subordine per soddisfare la sopravvivenza finanziaria delle emittenti.
Di conseguenza i giornalisti televisivi finiscono per fare il gioco dei politici, i quali mirano ad usare i media per la loro propaganda. Si tratterebbe dunque di infomercials, annunci politici non pagati. Quando i giornalisti sfidano i candidati repubblicani sulla veridicità delle loro asserzioni, la reazione costante è l’affermazione che la stampa lavora per la sinistra.
È  ovviamente un falso, perché la stampa americana non perde di vista l’aspetto commerciale del proprio lavoro perché i finanziamenti provengono quasi esclusivamente dagli annunci pubblicitari delle grosse aziende, che in linea generale sono legate strettamente al Partito Repubblicano, il partito del business. Le corporation vogliono un governo che spinga verso tasse sempre più basse e lasci campo libero all’iniziativa privata senza interferenza governativa. La stampa dunque non può mordere la mano che gli dà da mangiare.
Attaccare la stampa per le domande “difficili”, però, ha indotto il presidente Barack Obama a reagire ponendo una domanda:  se i candidati repubblicani hanno difficoltà ad affrontare i giornalisti, come faranno quando dovranno confrontarsi con  i leader russi e cinesi?

*Domenico Maceri è docente di lingue all’Allan Hancock College, Santa Maria, California  (dmaceri@gmail.com)

Commenta per primo

Lascia un commento